È sabato sera, due ragazzi gay camminano tenendosi per mano in via Maqueda, cuore pulsante del centro storico di Palermo. La penombra di una dolce serata di maggio viene squarciata da urla e insulti. Li accerchiano, li umiliano con epiteti indegni, poi li pestano. Uno dei due finisce all’ospedale con il naso fratturato a causa di una bottigliata ricevuta sul volto. Loro, una coppia di turisti torinesi, stavano soltanto cercando un bed and breakfast dove passare la notte. Sono stati affrontati da un gruppo di giovanissimi, tra loro anche delle ragazze. Sono trascorsi appena due giorni dall’episodio e sembra tutto stia già iniziando a scomparire: rabbia, indignazione, stupore, semplice morbosa curiosità. Dai racconti frammentati, alcuni fatti dalle vittime, altri ottenuti de relato, sembra che nessuno sia intervenuto durante il pestaggio.
Giusto? Sbagliato? I cittadini sono chiamati ad essere coraggiosi, o i controlli sono carenti? Interrogativi che é giusto porsi, ma non basterebbero fiumi di inchiostro per svelare ipocrisie e aspetti di noi stessi che mai spereremmo di riconoscere. Soprattutto non deve giudicare chi quella sera non stava lì. Una sola certezza, quello che é successo é schifoso, stomachevole, indegno. Va detto senza perifrasi e senza alcun atteggiamento bonario in relazione all’età di questi criminali in erba. Al di là dei commenti di pancia, la riflessione é obbligata, dobbiamo tutti chiederci cosa avremmo fatto se fossimo stati testimoni di quello scempio. Ci si può solo inchinare di fronte a tanta sofferenza umana, quella degli aggressori, e farlo due volte rispetto a chi da vittima non si é lasciato andare a proclami e invettive che sarebbero stati comunque più che giustificati.
L’episodio di via Maqueda é stato solo lo sfiatatoio del ventre molle di chi l’argomento, spinoso, delicato per certi versi, soprattutto se accostato ai temi della famiglia, lo ritiene marginale. Marginalità che non si esaurisce nell’accezione pura del termine ma nel sillogismo “signora mia, finché se ne stanno per i fatti loro per me non sono un problema”. Nel ghetto. Nel ghetto dei sentimenti, dei diritti, della libertà di camminare in strada con il proprio compagno senza per questo dover fare i conti con il cardiopalma del terrore. Nel migliore dei casi si parla di “tolleranza”. Chi pratica tolleranza si colloca automaticamente in una posizione di superiorità, sarebbe sacrosanto discutere di amore e di “accoglienza”. Accoglienza. Purtroppo. Testimonianza che la società ha relegato le persone gay a una marginalità da cui dobbiamo invece strapparli via. Almeno, é un termine più dolce ed equo di “tolleranza”. Bisogna anche sapersi accontentare. A volte, e per un periodo limitato di tempo.
Sempre nell’alveo della “tolleranza” il ragionamento di chi liquida la questione con “per me non c’é alcun problema, ognuno nella propria camera da letto é padrone di fare quello che vuole”. Ma guai a parlare di diritti. Come se la vita di un gay iniziasse e finisse con la bestialità di amplessi consumati al sicuro di lenzuola color arcobaleno, dentro le quattro mura di casa, e se la casa é lontana dal centro abitato é pure meglio. Possiamo anche concedere loro di andare a fare shopping con un’allure in formato Michel Serrault, ma niente di più. I diritti no. Invece i diritti sì, e occorre urlarlo. Sopraffazione e discriminazione sono cose orripilanti, il disegno di legge Zan deve trovare la sua giusta collocazione all’interno del Codice Penale perché la cosiddetta “omofobia” verrebbe così inserita negli articoli 604 bis e ter, costituendo un’aggravante.
Curioso che tra chi si oppone al ddl ci sia anche chi in passato si é battuto per l’ingresso della categoria del “femminicidio” come aggravante dell’omicidio, ma ora rifiuta il sostegno a un’altra categoria “vulnerabile” (solo perché noi l’abbiamo resa tale) ritenendo che questo possa andare a inferire sulla libertà di espressione. Ragioni infime, false e speciose che fanno da sponda a chi sciorina statistiche sull’esiguità degli omicidi avvenuti con il movente dell’odio di genere. Ammettiamo pure sia così, non c’é mica bisogno di pensare alle estreme conseguenze, prima dell’omicidio ci sono le aggressioni verbali e fisiche, le umiliazioni, le prepotenze, ma fosse anche soltanto un caso all’anno, quell’unico caso andrebbe punito con strumenti adeguati.
Un grande poeta contemporaneo morto prematuramente, parlando del suo periodo scolastico amava raccontare di quanto fosse amico di un suo compagno gay che per questo veniva deriso: “Avrei voluto essere omosessuale come lui almeno per un giorno per fare dispetto a tutti quegli imbecilli che lo odiavano e lo sfottevano, perché io li avrei fatti impazzire”.
“L’amicizia é una forma di amore senza la complicazione del sesso”, diceva invece Charles Bukowski circa venti anni prima. Il disegno di legge Zan non é altro che questo, una forma di amore e fraterna amicizia nei confronti di altre persone che rischiano più di altre di essere vessate. Il sesso non ha niente a che fare con i diritti, qui si tratta di garantire l’accesso a una vita serena a persone che con la vita non ci sono mai “c’entrate” ma che ci sono sempre entrate ed é arrivato il momento che lo facciano dalla porta d’ingresso. Cronaca di Sicilia appoggia il disegno di legge Zan, si augura che presto arrivi l’ok del Senato e sta dalla parte dei ragazzi aggrediti sabato senza “se” e senza “ma”.
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