Avrebbe dovuto pagare oltre 2mila euro per un’autocertificazione falsa, ma è stato assolto. È successo a un 24enne che era stato fermato l’anno scorso a marzo a Milano durante i controlli per arginare l’epidemia di Covid. Il giudice Alessandra Del Corvo ha deciso che il fatto non sussiste perché in questo caso non c’è nessuna norma che obblighi a dire il vero. Non solo. Se anche vi fosse, finirebbe con essere in contrasto con il diritto di difesa del singolo.
”Il ragazzo – dice il difensore Maria Erika Chiusolo – è arrivato con una difesa d’ufficio dicendomi che lui, quel giorno era in realtà veramente al lavoro. Abbiamo aspettato come sarebbe andato il procedimento ed è arrivato il decreto di condanna penale. 2250 euro da pagare e 15 giorni di tempo per fare opposizione. Cosa che abbiamo fatto chiedendo il rito abbreviato subordinato al fatto che lui era effettivamente al lavoro”.
Perché l’avvocato ha iniziato a chiedere documenti a fare i controlli, così come avevano fatto prima di lei gli agenti. ”Probabilmente – spiega – c’è stato un problema di chi ha verificato, forse un errore. Il ragazzo era un tirocinante in catena di negozi; io mi sono fatta dare tutti i documenti, ed era facilmente dimostrabile che era andato al lavoro. C’era perfino un responsabile della catena pronto a venire a testimoniare”.
Ma non ce n’è stato bisogno. ”Il problema sì è risolto subito. Effettivamente nel nostro ordinamento non c’è alcuna norma che prevede di essere puniti per certificazioni non veritiere e questo ha anche sostenuto il pm e anche lui ha chiesto l’assoluzione”. Spiega l’avvocato, che ”teoricamente queste autocertificazioni non sono in realtà degli atti destinati a provare la verità dei fatti e quindi non può esserci applicazione del reato di falsità e quindi non si può essere puniti penalmente”.