Cinquant’anni fa moriva Pamela Courson, la “compagna cosmica” di Jim Morrison leader della band di rock psichedelico The Doors. Fatale l’ultimo buco che le procurò la morte per overdose di eroina il 25 aprile del 1974. Una tragedia annunciata, come quella del 3 luglio 1971 quando il corpo del suo amato cantante fu trovato cadavere nella vasca da bagno dell’appartamento della coppia, in Rue de Beautreillis 17, a Parigi. Come lui, anche Pamela morì all’età di 27 anni e fu una delle poche persone a vedere le spoglie di Morrison. Cinquant’anni dopo cosa rimane di Pamela Susan Courson, “Pam” come la chiamavano tutti? La storia di una ragazza fragile ma abbastanza forte da farsi una vita senza compromessi. Costruì se stessa con coraggio sufficiente per andare avanti a modo suo, ma senza riguardo per il suo corpo annientato dalla droga.
Cinquant’anni fa a Parigi moriva Jim Morrison: da lì iniziava il mito del poeta rock
Nonostante “The Doors“, l’epico film di Oliver Stone amato e odiato dai fans, la dipinga come una “valletta” al seguito di Jim Morrison, Pamela Courson aveva una personalità spiccata. Secondo i resoconti dell’epoca, pare fosse l’unica in grado di tenere testa al cantante che, a tratti, ne subiva anche il carattere. Una storia d’amore tossica e maledetta. Frequenti i tradimenti da parte di entrambi e dolorosi i momenti di separazione. Sembra, infatti, che i due soffrissero molto durante i periodi di lontananza.
Ma chi era Pam? In un periodo storico in cui si dibatte, spesso a sproposito, di “patriarcato” è giusto ricordarla come persona e non come appendice del suo famoso compagno. Era una ragazza con problemi irrisolti alle spalle e in cerca di identità. Un passato intriso di dinamiche familiari asfittiche, anoressia nervosa, un coinvolgimento totalizzante con il movimento della controcultura, nato a San Francisco, che subito raggiunse la città di Weed in cui era nata. Ingredienti che, insieme ai frequenti spostamenti della famiglia, la accomunavano a Morrison creando la ricetta esplosiva della loro storia d’amore. Non aveva le velleità artistiche di Yoko Ono, né la bellezza enigmatica di Marianne Faithfull eppure Pam, pur non lasciando un’opera, è ancora oggi un’icona immortale del rock. Senza cantare neppure una nota o girare film.
Facile sostenere che il suo ricordo sia speculare alla memoria e alla narrazione delle gesta del suo compagno. Non è così, Pamela Courson aveva una personalità ben delineata e nonostante le notizie sulla sua vita siano frammentate, la sua figura è resistita al tempo e si è rinvigorita grazie al libro di Patricia Butler “Gli angeli danzano, gli angeli muoiono“, pubblicato in Italia da Piemme Edizioni. Il ritratto che ne esce fuori è quello di una ragazza fuori dagli schemi convenzionali, dedita al suo partner per vocazione e mai per convenienza. Ne amava e sosteneva la poesia, più della musica, ma non esitava a separarsene quando la tossicità del rapporto superava il livello di guardia.
Molto più disinteressata rispetto alle illazioni fatte negli anni, legata alla logica del “non possesso” radicata negli anni Sessanta. Un modo di vivere che propugnava l’indipendenza assoluta dalle cose materiali e dai rapporti in nome della “libertà totale“. Naturalmente non è quasi del tutto possibile separare la cronaca dalla narrazione del rapporto amoroso con il leggendario frontman. Forse, uno dei racconti che meglio di altri tratteggia i contorni della personalità di Pamela Courson riguarda un episodio avvenuto al concerto dei Doors all’Hollywood Bowl del 1968. Sono tre le curiosità che riguardano questa esibizione: la stranamente pacata esibizione di Jim Morrison, un giovanissimo Harrison Ford tra i cameramen e Pam tra il pubblico seduta sulle gambe di Mick Jagger, cantante dei famigerati Rolling Stones.
Leggenda vuole che Jagger fosse andato al concerto perché incuriosito dalle cronache dell’epoca che dipingevano Jim Morrison come uno sciamano invasato e fuori di testa pronto a scatenare rivolte. Sembra che proprio questa singolare circostanza abbia invece influenzato Morrison che, contrariamente al solito, rimase quasi tutto il tempo fermo dietro l’asta del microfono. L’esibizione fu comunque un successo finendo su un Lp live molto apprezzato dai fans. Vendetta o strafottenza? Non è dato saperlo ma di sicuro è la dimostrazione plastica di come Pam fosse indipendente dal giudizio di Jim, sempre pronta a sfidarlo e a rivendicare il suo posto come singola entità. L’unica forse a non vivere nel timore di doverlo assecondare.
Grandi occhi incastonati su un volto di cera, turbinii di seta rossa i lunghi capelli che scendevano lisci sulle spalle, efelidi sul naso e sulle guance, un corpo minuto e l’anima tormentata. Tutto troppo bello ed esile, forse, un’armatura troppo sottile, forse, per affrontare i tumulti generazionali dei Sessanta e Settanta. Se n’è andata troppo presto da quella “strada dell’amore“, troppi “pigri tirapiedi tempestati di diamanti” alla sua corte dei miracoli, troppe “scimmie” per lei. Per loro.
Riferimenti ad amore, droga, malaffare: sono alcuni dei versi della ballad “Love Street“, una delle non poche canzoni in cui Morrison si ispirò alla sua musa. Ad oggi, le ceneri di Pamela Courson riposano a Santa Ana, in California. Se esiste una vita dopo la morte, la speranza è che almeno lì, Pam, abbia trovato pace. Se esiste una dimensione in cui il martirio della carne non è concesso, l’augurio è che le stelle a cui aveva voltato le spalle per danzare con Mr. Brownstone volteggino con lei come spade di gemme di serenità. Per il mondo non sarà facile dimenticarla.
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