Scorie dimenticate e simboli ritrovati. Brandelli di sogni abbandonati sull’arenile, piccole cose di pessimo gusto, tappi, cartacce, scorze d’arancia, mozziconi. Oggetti con una storia. Martino Lo Cascio è scrittore e narratore, ma non un fotografo: quindi i suoi scatti non aspirano alla bellezza canonica, non sono tecnicamente perfetti, non chiedono aiuto alla Leica ma si appoggiano su uno smartphone. Ma sono veri, profondamente e drammaticamente veri: parlano di cose. Incidentali. Immagini scattate nel gennaio di due anni fa, sulle spiagge che uniscono Togo e Benin, cucite a dovere su 40 haiku di scrittori, musicisti, poeti, attori.
“101 scorie zen” (la vita, di nascosto) è nata sui bordi dell’arenile, e si è trasformata in un progetto di recupero, di un certo vivere slow, nel rispetto dell’ambiente. La mostra, curata da Emilia Valenza si inaugura venerdì 17 settembre (vernissage alle 18,30, ingresso con green pass) al Centro internazionale di Fotografia creato da Letizia Battaglia ai Cantieri Culturali alla Zisa, a Palermo, dove resterà fino al 17 ottobre. Proposta dall’associazione Nottedoro, la mostra ha ricevuto il patrocinio del Comune di Palermo. È stato anche pubblicato un volume (edizioni Il Palindromo) con tutti i 101 scatti e i 40 haiku che formano il progetto.
Il punto di partenza sono le foto di Martino Lo Cascio: che passeggiando lungo le spiagge africane, ha iniziato a cercare storie dietro ogni rifiuto: un tappo di bottiglia nasconde sensazioni; una buccia, emozioni; un sacchetto di carta, un sogno infranto. Colori saturi, immagini ritagliate dal contesto, più vicine alle tele che alle fotografie, particolari puntigliosi, evocativi, narrativi.
“Tappi di birra, fogli di carta su cui vivono ancora parole – spiega Emilia Valenza nel suo testo critico – bucce di frutta secca, lische di pesce, ma anche pescetti non ancora consunti, giochini di plastica, ritagli metallici, carte di gelati, pezzetti di legno sputati dal mare insieme a gusci vuoti di conchiglie, un palloncino scoppiato, un osso di pollo e tanto altro che emerge, a metà ancora nascosto, oppure con sfrontatezza, dalla grana sottile dell’arenile. La fotografia ha sempre un taglio compositivo simile, una inquadratura ravvicinata, il frammento incontra le diagonali ma non si colloca al centro” .
Lo Cascio le racchiude in due serie diverse – La vie en cachette ritrae frammenti di oggetti riemersi casualmente dalla sabbia, pezzettini di memoria emotiva; e Abstract Afrique, il passo successivo, immagini dove la realtà concreta assume una forma quasi irreale, narrativa, invitando alla riflessione sul concetto di scarto – e decide di accompagnarle ad alcuni haiku, i brevissimi componimenti poetici giapponesi. Detto fatto, chiede a scrittori, poeti, musicisti, di comporre i famosi tre versi dedicati soprattutto alla natura. Hanno risposto all’invito 40 autori, ognuno a suo modo, secondo l’inclinazione e ispirazione del momento, lasciando trascinare liberamente dall’immagine mostrata.
Tra loro, Stefano Bollani, Claudio Magris, Fabio Stassi, Emanuele Trevi, Lisa Ginzburg, Silvio Perrella, Paolo Di Paolo, Stefania Auci, Chiara Gamberale, Catena Fiorello, Luigi Lo Cascio, Roberto Rossi Precerruti, e molti altri, accompagnati da “camei” critici leggeri e impalpabili.
“In questa novella cosmogonia le appartenenze al mondo vegetale, animale e minerale diventano lievemente superflue – spiega Martino Lo Cascio – perché vediamo solo vita che si trasforma e, a rigore, non c’è alcun motivo di preferire qualcuno a qualcosa. Si può amare un uomo come ci si può estasiare di fronte alla buccia d’arancia o sentirsi attratti dalla danza di una strapazzata plastica trasparente”. Non si tratta di oggetti o simboli importanti, anzi, hanno già esaurito la loro vita, ma non per questo non grondano più storie, senno antico perduto e ritrovato.