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Afghanistan ai talebani, donne e torture: cosa accadde nel 1996

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L’ex presidente Najibullah torturato e impiccato ad un lampione, uomini obbligati a farsi crescere la barba, donne a indossare il burqa, le scuole femminili chiuse. Questo accadde a partire dal settembre del 1996, quando i talebani imposero il loro regime in Afghanistan. Ora che gli ‘studenti coranici’ hanno ripreso il controllo del paese, nuovamente chiamato come allora “Emirato islamico dell’Afghanistan”, bisogna ricordare cosa successe per figurarsi cosa accadrà in Afghanistan, anche se alcuni analisti ritengono che nel frattempo i leader talebani abbiano ampliato i loro orizzonti durante i periodi trascorsi nel Pakistan e nel Golfo.

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Fra il 1996 e il 2001, quando gli americani invasero l’Afghanistan, i talebani imposero su tutto il territorio una stretta interpretazione della sharia, la legge islamica. Ciò si tradusse, ricorda il Washington Post, “in una nazione profondamente violenta, repressiva e instabile che accolse terroristi transnazionali”. Nel 1996, dopo aver conquistato Kabul, i talebani dispiegarono squadre di “polizia morale” agli ordini dell’agenzia per la Promozione della virtù e l’eliminazione del vizio. Le donne che uscivano non accompagnate da uomini venivano picchiate per strada. Il gioco del calcio e la musica vennero banditi. Lo stadio di Kabul venne usato per le esecuzioni pubbliche.  Le immagini erano vietate, ma dal Paese filtrarono foto e video drammatiche: una madre afghana giustiziata a colpi d’arma da fuoco fra i pali della porta dello stadio, bambini che morivano di malattie curabili in ospedali pediatrici abbandonati, le grandi statue di Buddah a Bamiyan distrutte perché ritenute idolatre. Intanto un mare di profughi fuggiva dal Paese.

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Il governo dell’Afghanistan era affidato ad una ristretta cerchia di leader talebani che avevano combattuto contro i sovietici. I ministri, il governatore della Banca centrale, erano ex comandanti militari o venivano dalla madrassa, le scuole coraniche. Vi furono alcuni sporadici tentativi iniziali di accreditarsi internazionalmente, mandando un inviato all’Onu. Il Mullah Omar, che guidava il Paese, scrisse anche agli Stati Uniti offrendo buoni rapporti. Ma il regime rimase isolato, con un tentativo nel 1998 dell’inviato Onu Lakhdar Brahimi di trattare per l’accesso agli aiuti umanitari.

Ma la stessa instabilità che aveva facilitato la vittoria dei talebani, impedì loro di mantenere il controllo sul Paese. Omar lasciava raramente la sua base di Kandahar e le sue milizie conducevano brutali campagne militari, bruciando interi villaggi e perseguitando la minoranza sciita. Intanto l’ospitalità offerta a leader di Al Qaeda, Osama Bin Laden, mise l’Afghanistan nel mirino degli Stati Uniti. Già prima dell’intervento militare del 2001, gli Stati Uniti di Bill Clinton avevano lanciato missili cruise contro l’Afghanistan in risposta agli attentati del 1998 contro le ambasciate Usa di Nairobi e Dar es Salaam.

Torneremo dunque al 1996? Non è detto che sarà esattamente così. “I talebani post 2001 hanno provato di essere diventati un’organizzazione più politica, capace di imparare, più aperta all’influenza di fattori esterni”, ha scritto Thomas Ruttig in un’analisi per il Combating Terrorism Center di West Point. “Molti leader talebani hanno trascorso più di un decennio in Pakistan o nel Golfo, ciò ha enormemente ampliato i loro orizzonti rispetto ai loro trascorsi provinciali nel sud dell’Afghanistan”, notavano già nel 2016 Borhan Osman e Anand Gopal nel saggio “Taliban Views on a Future State.”

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