“La mia opinione è che ci siano zero possibilità che Matteo Messina Denaro stia collaborando o inizi a collaborare con la giustizia, perché non ha convenienza, lui deve difendere il suo patrimonio e pensare alla sua salute, il suo problema principale. Che interesse ha, dunque, ad avviare una collaborazione, che significa anche disvelare tutti i beni posseduti? Perché la prima cosa che viene chiesta è questa”. Così l’avvocato Luigi Li Gotti, dopo la trasferta nel carcere dell’Aquila del procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, e del suo aggiunto Paolo Guida, per interrogare il boss mafioso arresttao a Palermo il 16 gennaio scorso.
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Ilegale è uno storico difensore dei pentiti di Cosa nostra, da Tommaso Buscetta a Gaspare Mutolo fino a Giovanni Brusca: per lui la grave malattia di cui il boss soffre è un incentivo a non collaborare. “Messina Denaro è già stato condannato definitivamente a più ergastoli – osserva – dunque, qualora collaborasse, per poter accedere a chiedere dei benefici alternativi ci vogliono dieci anni dal momento in cui viene arrestato. Prima di dieci anni, anche se collabora, non può nemmeno chiedere i benefici.”
“Un collaboratore di giustizia, infatti, prima di poter accedere ai benefici deve superare una certa soglia di espiazione di condanna, non è che inizia a collaborare e il giorno dopo accede ai benefici, no, la legge impone dei tetti. Ciò significa – chiosa l’avvocato Li Gotti – che la malattia è uno stimolo a non collaborare, perché se è vero, com’è vero, che per ottenere benefici devono trascorrere dieci anni, uno che ha una malattia grave, almeno così hanno detto, non ci arriva a vivere altri dieci anni. Dunque, che benefici avrebbe Messina Denaro? Zero, e zero, a mio parere, sono le possibilità che collabori. Poi tutto può essere, però francamente…”.
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