Nel 2022 si è registrato il record di dimissioni in Italia. Lo scorso anno, infatti, hanno lasciato il lavoro 1,6 milioni di persone, 300mila in più dell’anno precedente. Si può dire che è arrivato il fenomeno Great Resignation anche in Italia? Il termine, inventato da uno psicologo americano, descrive un fenomeno osservato dopo la prima ondata di Covid-19 negli Stati Uniti. La teoria è che centinaia di migliaia di persone, passate tramite l’esperienza dei lockdown, abbiano ripensato al loro modello di lavoro, alla sua qualità e al suo ruolo nelle vite di ciascuno, risultando più propense ad abbandonare la loro occupazione, se ritenuta non soddisfacente.
Fabrizio Pirro, docente di Sociologia del lavoro, spiega a Money.it che non esiste un unico fenomeno valido per tutto l’Occidente, ma tanti fenomeni da declinare in base ai contesti sociali e al tipo di mercato del lavoro. Ad accomunarli, però, ci sarebbe un elemento relativamente nuovo, che il Covid avrebbe solo accentuato: la perdita di centralità del concetto di lavoro, che ha a che fare con “l’esplodere dell’individualismo e della disgregazione dei legami sociali”. Insomma, la qualità dell’occupazione sarebbe in media talmente bassa da fargli perdere senso, sia dal punto di vista del reddito che del contenuto del lavoro.
A mancare poi, soprattutto per i giovani, sarebbe la prospettiva di crescita professionale e retributiva. Il fenomeno, però, riguarderebbe in Italia una minoranza di persone, non stritolate dall’inflazione, in cui una grossa fetta è costituita da professionisti altamente qualificati. Sono coloro che cercano di cogliere le opportunità che la ripresa dell’occupazione, dopo il biennio con le fasi più dure del Covid, può offrire. Per sgonfiare il fenomeno Pirro propone di aumentare i salari rinnovando i contratti pubblici e tagliando ancora il cuneo fiscale, ma anche ridurre l’orario di lavoro a parità di stipendio.