Nessuna soffiata, nessun collaboratore. La cattura del boss Matteo Messina Denaro è stato il risultato di una indagine tradizionale coordinata dalla Procura di Palermo, da pochi mesi guidata da Maurizio De Lucia. I carabinieri del Ros e gli uomini del Gis si sono presentati questa mattina poco prima delle otto alla clinica Maddalena di Palermo in attesa che arrivasse un paziente oncologico di nome “Andrea Bonafede“. L’uomo che usava quel nome e cognome, occhiali scuri e cappellino bianco di lana, si è presentato puntuale per fare il tampone prima di eseguire la seduta di chemioterapia.
Ma come sono arrivati gli investigatori a quell’uomo che in realtà era Matteo Messina Denaro? Da circa tre mesi gli inquirenti avevano capito che il boss aveva potuto usare quello pseudonimo per curarsi. Dalle intercettazioni di amici e parenti gli inquirenti hanno avuto la conferma che Messina Denaro era gravemente malato, tanto da avere subito due interventi importanti. A quel punto, sono iniziate le indagini sui pazienti oncologici con un’età compatibile con quella di Messina Denaro. E tra i nomi sospettati c’era proprio quello di Messina Denaro, alias Andrea Bonafede, nipote di un fedelissimo originario di Campobello di Mazara.
Ed ecco che gli inquirenti trovano l”inghippo’. Il giorno dell’intervento quel Bonafede non era in clinica. Ecco la conferma che a usare il suo nome era un’altra persona. Forse Messina Denaro? Da qui partono le indagini ancora più serrate. Quando gli investigatori del Ros e del Gis hanno saputo che Bonafede si sarebbe dovuto presentare oggi per la chemioterapia si sono presentati alla Maddalena. Lo hanno atteso e quando è arrivato, dopo il tampone, lo hanno fermato.
Prima ha tentato di allontanarsi ma la fuga è durata pochi minuti. “Scusi, lei è Matteo Messina Denaro?”, gli chiedono. E lui risponde: “Sono io Matteo Messina Denaro”. Finisce così, 30 anni dopo la sua fuga, la latitanza della primula rossa.
Fonte. Adnkronos, articolo di Elvira Terranova
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