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L’Accademia della Crusca approva “il presidente” Meloni: “È corretto”

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“Non c’è nulla di strano” nella decisione di Giorgia Meloni di firmare gli atti ufficiali come “il” presidente del Consiglio. “I titoli al femminile sono legittimi sempre; chi usa questi femminili accetta un processo storico ormai ben avviato. Chi invece preferisce le forme tradizionali maschili ha comunque diritto di farlo. Lo afferma Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, la più antica istituzione linguistica del mondo, che invita “ad abituarsi a non avere paura di queste oscillazioni linguistiche”. 

“Quella di Giorgia Meloni direi che è persino una decisione prevedibile – spiega il professore Marazzini – del resto non è cosa inaudita. Basti pensare, tra i tanti casi noti, alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati nella precedente legislatura. La preferenza della Casellati era ben nota a tutti. Questo vale per le cariche pubbliche e politiche. Ma forse non ricordiamo la questione del ‘direttore d’orchestra’, sollevata dalla Venezi? Alcune donne non si riconoscono nelle scelte linguistiche della tradizione femminista di marca anglosassone, introdotta in Italia nel 1986 da Alma Sabatini (al tempo delle Pari opportunità del governo Craxi), e ribadiscono la propria diversità attraverso scelte alternative di immediata evidenza”.

“In questo modo – sottolinea il presidente dell’Accademia della Crusca – mettono in luce il valore ideologico delle opzioni linguistiche sul genere (le proprie, ma indirettamente anche quelle avverse). Sarebbe riduttivo giudicare tutto questo come una semplice questione grammaticale, perché non lo è affatto”. Stupore, invece, è espresso dal presidente dell’Accademia della Crusca sulla presa di posizione dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti della Rai, che ha chiesto di usare “la” presidente del Consiglio. “Io non credo che qualcuno possa cercare di ‘imporre’ complessivamente ai giornalisti italiani la propria preferenza linguistica – afferma il presidente Claudio Marazzini – in presenza di un’oscillazione tra il maschile e il femminile, determinata da posizioni ideologiche, penso che ognuno possa e debba mantenere la propria piena libertà di espressione, optando di volta in volta per il maschile o per il femminile, in base alle proprie ragioni”.

“Semmai in passato si è ecceduto, mettendo in circolazione manuali che sembravano imporre una scelta obbligata e comune per certe istituzioni o per certi ministeri. Una sanzione linguistica per chi non rispetta le indicazioni sull’uso del genere grammaticale non è immaginabile”. Il problema si pone in modo diverso solamente in alcuni casi specifici, argomenta il presidente dell’Accademia della Crusca: “Per esempio, possiamo immaginare una testata giornalistica che preferisca omogeneità, e vincoli i collaboratori a una scelta prefigurata. Del resto una testata giornalistica ha in genere una linea politica, e per questo la scelta sarebbe comprensibile”.

“Potrebbero configurarsi eccezioni nel caso in cui la testata ospiti un articolo di segno diverso, o trascriva con il virgolettato un’intervista. In tal caso la volontà individuale dell’intervistato andrebbe rispettata scrupolosamente (non sempre è così, purtroppo, e non solo per il maschile o femminile). Altro caso, è quello dell’interlocuzione diretta con la donna che ricopre la carica. Mi spiego meglio: personalmente, credo che continuerò a chiamare la Meloni ‘la presidente del Consiglio dei ministri’; ma se la dovessi incontrare in visita all’Accademia della Crusca, nell’interlocuzione diretta non avrei nessun dubbio nell’adottare il maschile, per una doverosa forma di rispetto verso le sue preferenze, in un’occasione in cui si impongono doveri di ospitalità. Anche perché non si tratta di una scelta agrammaticale o antigrammaticale, ma semplicemente di un uso tradizionale, magari minoritario negli ultimi anni, ma ben radicato nel passato della lingua”.

“Occorre dunque abituarsi a non avere paura di queste oscillazioni linguistiche: la lingua non è un mai un monolite – conclude Marazzini – anzi, proprio nella varietà della lingua tutti i parlanti possono trovare il loro spazio e possono interagire positivamente con gli altri, superando le eventuali differenze, senza rinunciare a se stessi”. 

(di Paolo Martini)

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