Un quadro desolante fatto di estorsioni, droga, intimidazioni e armi emergerebbe dalle indagini di polizia e carabinieri che questa mattina, a Palermo, hanno portato a 31 arresti con cui sarebbe stata decimata la famiglia mafiosa di Brancaccio. Tra gli altri, in manette sono finiti Giovanni Di Lisciandro, considerato dagli investigatori vertice della compagine, e che, secondo le ricostruzioni, sarebbe stato coadiuvato da Stefano Nolano, Angelo Vitrano e Maurizio Di Fede, Francesco Greco, e Emanuele Prestifilippo, “gravemente indiziati di essere direttamente legati” a Giuseppe Greco e Ignazio Ingrassia.
VIDEO| Duro colpo alla mafia, decimato il clan di Brancaccio a Palermo: 31 arresti
Dalle investigazioni salterebbe fuori il solito modus operandi collaudato e verticistico che non lascia nulla al caso e mirato ad estendere i tentacoli della mafia in ogni campo delle attività redditizie volte a foraggiare le casse dell’organizzazione e le famiglie dei detenuti. Nessuno passerebbe inosservato, dal piccolo commerciante ambulante al grande imprenditore. E poi ci sono la droga, le armi, le scommesse online.
L’imprenditore. Emblematica la conversazione che sarebbe avvenuta tra il responsabile delle estorsioni della cosca mafiosa ed un suo sodale, avvicinato da un imprenditore edile che dovendo comprare un terreno per costruire appartamenti, per non incorrere in furti, rapine o danneggiamenti e ottenere la protezione della mafia, si sarebbe rivolto al referente mafioso della zona, per mettersi a posto.
Lo “sfincionaro”. Le pretese estorsive non avrebbero risparmiato nemmeno uno sfincionaro il quale, dopo aver subito il danneggiamento della saracinesca del laboratorio con l’Attack si sarebbe rivolto ad uno degli indagati per “mettersi a posto”.
Armi. “È di tutta evidenza – spiegano dall’Arma – come tutti gli associati abbiano piena consapevolezza di siffatta disponibilità e siano ben consci anche della loro possibilità di ottenere il concreto possesso di armi di cui siano in un dato momento sprovvisti rivolgendosi ad altri sodali, financo a quelli eventualmente inseriti in altre articolazioni territoriali dell’organizzazione criminale”.
Droga. Anche il traffico di stupefacenti rappresenta una importante voce di arricchimento illecito; dal complesso delle attività, infatti, è stato possibile quantificare gli introiti derivanti dalle “sei piazze di spaccio dello Sperone”, tutte direttamente gestite o comunque controllate dai sodali, con un ricavo presunto di circa 80.000 euro settimanali.
Il business delle mascherine. Anche in piena emergenza epidemiologica sarebbero stati acquisiti gravi indizi in merito al rastrellamento di denaro dalle pochissime attività rimaste aperte e con volumi di affari certamente ridotti ma in un caso un indagato si sarebbe impossessato di venti cartoni di mascherine Fp3, contenenti 16.000 pezzi, sottraendole ad un ospedale cittadino dove svolgeva attività lavorativa perché appartenente all’area “Emergenza Palermo”, per rivenderle a scopo di lucro.
“L’agguerrita compagine criminale – spiegano gli investigatori – per il tramite dei suoi collaboratori, si sarebbe dunque occupata dell’imposizione delle cosiddette sensalerie sulle compravendite di immobili ricadenti sotto l’area di influenza, commettendo vere e proprie condotte estorsive in danno di quei cittadini che, per concludere affari immobiliari, si sono visti costretti ad accettate l’opera di mediazione degli indagati. Altro settore illecito è quello della coltivazione di piantagioni di cannabis-sativa, da cui veniva ricavato lo stupefacente destinato alle piazze di spaccio del capoluogo”.
Il gruppo criminale, inoltre, avrebbe tratto parte del suo sostentamento anche dalla gestione delle acque irrigue sottratte direttamente alla conduttura “San Leonardo”, di proprietà del “Consorzio di Bonifica Palermo 2”. “Gli affiliati alla famiglia mafiosa di Ciaculli –proseguono i militari – sarebbero, infatti, intervenuti direttamente sulle condotte del consorzio, forzandole e incanalando l’acqua in vasche di loro proprietà, per poi ridistribuirla ai contadini operanti nell’agro Ciaculli-Croceverde Giardini e Villabate. Tale circostanza, oltre a costituire un guadagno illecito per l’organizzazione mafiosa, avrebbe permesso alla famiglia mafiosa di Ciaculli di accreditarsi verso numerosi produttori agricoli, ergendosi a punto di riferimento per la gestione di uno dei beni essenziali per eccellenza: l’acqua”.
Scommesse. Con delle piattaforme illegali di scommesse online le famiglie avrebbero avuto cospicui introiti. Il mandamento mafioso avrebbe imposto sul territorio l’utilizzo di piattaforme di gioco che non avrebbero rispettato la normativa sulla prevenzione patrimoniale imposta alle attività ludiche dalle leggi italiane. Il compenso, tuttavia, sarebbe stato versato dagli esercenti, in proporzione ai guadagni ricavati, nelle casse del mandamento mafioso. I proventi delle attività illecite sarebbero stati poi reinvestiti in alcune attività commerciali.
La polizia giudiziaria ha dato esecuzione al sequestro preventivo del capitale sociale, dei beni aziendali e dei locali della impresa, per un presunto valore complessivo di circa 350.000 euro in quanto frutto di intestazione fittizia, nei confronti di imprese ed esercizi commerciali, tra i quali una rivendita di prodotti ittici, due rivendite di caffè e tre agenzie di scommesse.