Riciclaggio e autoriciclaggio internazionale sono queste le accuse contestate dalla Procura di Palermo a Francesco Zummo, 90 anni, imprenditore di Palermo coinvolto nel cosiddetto sacco di Palermo. Zummo è finito ai domiciliari nell’ambito di un’inchiesta delle procure di Palermo e Napoli e portata avanti dalle Dda dei due capoluoghi. In carcere anche il noto commercialista Fabio Petruzzella, fratello di un giudice, accusato di riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori con l’aggravante di mafia.
Petruzzella avrebbe aiutato Zummo a far sparire, sottraendoli alla confisca, 20 milioni di euro spostati sul conto di una banca a Tirana, in Albania, e oggetto di un provvedimento di sequestro emesso oggi dalla procura di Palermo. Il 1 dicembre dello scorso anno, per Zummo era scattata una maxi confisca: undici aziende, centinaia di conti correnti, appartamenti, ville terreni e aziende agricole a Palermo e provincia, cinque complessi residenziali nella provincia di Siena. Un vero e proprio impero finito tra le maglie della Dia, un tesoro da 150 milioni di euro.
L’imprenditore è considerato dagli inquirenti uomo “a disposizione di Cosa nostra fin dai tempi di Riina e Provenzano per il riciclaggio di denaro nel settore edilizio”. Secondo i giudici, Zummo sarebbe stato uno dei protagonisti del sacco di Palermo, orchestrato dall’allora sindaco Vito Ciancimino e a cui l’imprenditore avrebbe partecipato con il consuocero Vincenzo Piazza (ritenuto consigliere della famiglia mafiosa di Palermo-Uditore) e Francesco Civello, ormai morto. L’imprenditore colpito oggi dall’ennesima misura cautelare avrebbe realizzato un impero edile di circa 2.700 immobili.
Sempre secondo gli inquirenti, nonostante fosse vicino alle famiglie mafiose della Noce prima e a quella dell’Uditore poi, avrebbe ricoperto un ruolo trasversale rispetto alle vicende della guerra di mafia, che portarono vari boss ad alternarsi per conquistare un controllo egemone sulla città e la provincia. Sempre secondo chi indaga, lo dimostrerebbe il fatto che sarebbe stato prestanome e custode dei proventi del narcotraffico, oggetto dell’indagine Pizza Connection, riconducibili ai boss Gaetano Badalamenti e ai Gambino, a Leonardo Greco e Michelangelo Aiello nonché a quelli, di altra provenienza illecita, di Fulvio Lima, nipote di Salvo.
L’attività di Zummo a suo tempo attirò le attenzioni investigative dell’allora giudice istruttore Giovanni Falcone, poi riscontrate dalle convergenti dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, fra i quali spicca la testimonianza di Massimo Ciancimino. Anni di indagine della Dia palermitana, coordinata dalla locale Procura e dalla Procura generale, hanno portato all’arresto e alla condanna di Zummo con l’iniziale sequestro di un patrimonio a suo tempo stimato in 300 miliardi di lire.
Dopo un lungo e complesso iter processuale, un annullamento con rinvio della Corte di Cassazione – chiamata ad esprimersi dal procuratore generale di Palermo sul dissequestro e la restituzione del patrimonio nel 2016 – la Corte d’Appello di Palermo ha definito la vicenda, sancendo definitivamente come il patrimonio accumulato fosse “il risultato dell’esercizio di una vera e propria impresa mafiosa”.