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Colpo alla famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato, nel Palermitano, dove dalle prime ore di stamattina, anche a San Cipirello, i carabinieri del nucleo Investigativo del Gruppo di Monreale hanno dato esecuzione a 10 provvedimenti cautelari (8 in carcere, uno ai domiciliari e una sospensione dall’ufficio o servizio), emessi dal gip di Palermo. Gli indagati sono accusati di associazione di tipo mafioso, estorsione aggravata dal metodo mafioso, cessione di sostanze stupefacenti e accesso abusivo a sistema informatico. Sei sono ritenuti affiliati alla famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato.
C’è anche l’ex comandante della polizia municipale di San Giuseppe Jato, oggi in pensione, tra gli indagati del blitz. È indagato per accesso abusivo a un sistema informatico e gli è stata notificata la misura della sospensione dall’ufficio o servizio. “A lui viene contestato di essersi introdotto abusivamente nel sistema informativo dell’Aci – spiegano gli investigatori dell’Arma – per verificare l’intestatario della targa di un veicolo da cui erano stati scaricati rifiuti edili in un’area monitorata da telecamere comunali”.
Secondo l’accusa il pubblico ufficiale avrebbe riferito, per sua iniziativa, l’esito dell’accertamento informatico svolto a Giuseppe Antonio Bommarito, figlio di Giuseppe, storico esponente di ‘Cosa Nostra’ e già condannato a 10 anni e 6 mesi di reclusione per associazione di tipo mafioso ed estorsione (sentenza divenuta irrevocabile nel 2006), “consentendogli di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi”.
Le indagini hanno fatto luce su quanto avvenuto all’indomani degli arresti di Ignazio Bruno, capo del mandamento di San Giuseppe Jato, e di Vincenzo Simonetti, suo autista e consigliere, avvenuti in due distinte operazioni: “I due uomini d’onore, anche durante la loro detenzione – spiegano gli investigatori – hanno mantenuto stabili contatti con gli altri associati oggi destinatari del provvedimento cautelare”. Le comunicazioni avvenivano con Calogero Alamia (nipote di Antonino, elemento di vertice della famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato e già individuato quale ‘cassiere’ del mandamento, attualmente detenuto), cui viene contestato il ruolo di promotore dell’organizzazione dal luglio del 2018, e Maurizio Licari.
Gli altri indagati per associazione mafiosa sono Nicusor Tinjala, Giuseppe Bommarito, storico esponente di Cosa Nostra e già condannato a 10 anni e 6 mesi di reclusione per associazione di tipo mafioso ed estorsione (sentenza divenuta irrevocabile nel 2006), e i figli Calogero e Giuseppe Antonio. Il provvedimento eseguito oggi colpisce anche Massimiliano Giangrande (al quale non viene però contestato il reato associativo).
Contrasti all’interno del clan. Nell’estate del 2018 la famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato era in fibrillazione. Gli investigatori dell’Arma registrarono frizioni tra i vari membri del clan che ambivano ad assumere il comando. La spaccatura fu ricomposta solo grazie alla pressione esercitata dal capo famiglia Calogero Alamia. “Sollecitò gli associati – spiegano gli investigatori – a mantenere l’unità per non compromettere il potere della famiglia sul territorio”.
Non solo pizzo e droga. Per fare cassa la famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato aveva messo le mani su una serie di appalti. Anche a Palermo. L’inchiesta ha documentato “l’espansione imprenditoriale” del clan nel settore edilizio attraverso il conseguimento di diversi appalti, anche nel capoluogo siciliano. I boss di San Giuseppe Jato sarebbero, infatti, entrati in contatto con esponenti di famiglie mafiose di Palermo a cui corrispondevano somme di denaro quali “messe a posto” per lavori di edilizia privata eseguiti nelle zone di rispettiva operatività.
I soldi del pizzo servivano non solo ad alimentare le casse di Cosa nostra, ma soprattutto a mantenere le famiglie dei mafiosi finiti in carcere. Nel mirino del clan è finito soprattutto il gestore di un centro scommesse, che in più occasioni, tra cui la Pasqua del 2017, ha consegnato agli indagati Maurizio Licari, Giuseppe Antonio Bommarito e Nicusor Tinjala somme di denaro utilizzate sia per alimentare la cassa della famiglia mafiosa che per supportare i detenuti associati attraverso il sostentamento delle rispettive famiglie. Le indagini hanno documentato anche la cessione di sostanze stupefacenti del tipo hashish tra i territori di Palermo (mandamenti mafiosi di Santa Maria del Gesù e Porta Nuova) e San Giuseppe Jato.