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Intascavano in nero gli onorari delle visite mediche effettuate presso i reparti di un ospedale di Messina. I finanzieri del Comando provinciale hanno sequestrato oltre 65.000 euro a tre dirigenti medici accusati a vario titolo dei reati di peculato, truffa aggravata e falso in atto pubblico. L’operazione scaturisce da una complessa indagine in materia di spesa pubblica nel comparto della sanità, coordinata dalla Procura di Messina e volta a verificare il rispetto della disciplina dell’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria da parte dei tre professionisti, di cui uno già raggiunto da un provvedimento interdittivo lo scorso 9 settembre.
Secondo gli investigatori, i tre medici, tutti dello stesso ospedale e legati all’azienda sanitaria da un contratto che prevedeva un rapporto di esclusività, avrebbero effettuato visite specialistiche all’interno del reparto, richiedendo e ricevendo da una platea di clienti il pagamento in contanti per le relative visite specialistiche. Avrebbero anche omesso di rilasciare qualsiasi ricevuta fiscale e di versare all’azienda sanitaria la percentuale dovuta. I tre avrebbero ricevuto anche i pazienti in studi privati non dichiarati al fisco.
Gli elementi indiziari acquisiti nei confronti dei tre medici, due dirigenti medici, D.F.C. 66 anni, endocrinologo, e S.S. 65 anni, cardiologo, avrebbero ricostruito un solido quadro indiziario e, secondo il gip, “costituiscono una sicura conferma alla sistematica attività di visite in studio privato” (non autorizzata), in quanto sono stati “trovati pazienti in attesa di essere visitati, agende e strumentazioni che comprovano la suddetta attività”.
Ai medici sono stati contestati i pagamenti ricevuti in contanti direttamente nelle mani dei medici, oggetto del peculato e del sequestro preventivo; la falsità in atto pubblico per aver, in alcune circostanze, attestato visite prestate in ospedale, mentre i pazienti venivano ricevuti in uno studio privato; la percezione indebita dell’indennità aggiuntiva stipendiale cosiddetta “di esclusività” del rapporto d’impiego pubblico e le somme percepite per quella parte di attività svolta regolarmente all’interno delle mura ospedaliere, “somme – evidenzia il gip – certo indebitamente percepite, posto che gli indagati le hanno percepite violando il rapporto di esclusività” e per le quali “saranno esperibili rimedi disciplinari” in quanto “non possono dirsi oggetto di peculato”.
Per uno dei tre indagati, M.F., 52 anni, il gip ha anche ritenuto sussistente l’ipotesi di truffa aggravata ai danni dell’Ente pubblico per la percezione dell’indennità di esclusività, avendo ingannato il datore di lavoro per non aver rispettato l’obbligo di unicità d’impiego, disponendo il sequestro delle somme percepite. Uno dei medici indagati, per i pazienti che richiedevano la fattura pagando comunque in contanti, faceva effettuare a posteriori la prenotazione al Cup in modo tale che l’ospedale emetteva una ricevuta che riportava, inevitabilmente, una data successiva alla visita effettuata. I pazienti stessi, nella quasi totalità dei casi, hanno confermato di aver versato in contanti, nelle mani dei professionisti o loro delegati, importi dagli 80 ai 150 euro, senza aver effettuato alcuna prenotazione al Cup e senza ricevere alcuna ricevuta.