Viviana Parisi, la deejay di 41 anni trovata morta l’8 agosto del 2020 nei boschi di Caronia “si è uccisa lanciandosi dal traliccio” ai piedi del quale è stata trovata senza vita. E, con ogni probabilità, prima di uccidersi avrebbe strangolato il figlio Gioele di 4 anni, poi ritrovato nel bosco il 19 agosto. Dunque, nessun duplice omicidio. Ecco perché la Procura di Patti (Messina), che coordina l’inchiesta sulla morte della donna e del figlio, a un anno dai fatti, ha chiesto al gip l’archiviazione.
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L’epoca della morte di Viviana Parisi “deve essere collocata all’interno di un arco temporale compreso, al massimo, tra le ore 12 e le ore 20 del giorno stesso della sua scomparsa, cioè il 3 agosto 2020, dunque a ridosso e nell’immediatezza dei fatti”. Lo scrive nella richiesta di archiviazione il procuratore capo di Patti (Messina) Angelo Vittorio Cavallo che ha coordinato l’indagine.
“Il cadavere di Viviana non è stato oggetto di spostamento ad opera di terzi, così come emerso, oltre che dai risultati degli accertamenti medico – legali, anche dagli studi condotti dall’entomologo, professor Vanin – dice Cavallo – in particolare, è emerso che la decomposizione del cadavere di Viviana Parisi è avvenuta e si è svolta, per intero, nel medesimo luogo del suo ritrovamento, che, pertanto, coincide pienamente con quello del decesso. Il cadavere, inoltre, non reca alcun segno o riscontro tipico delle morti per asfissia da annegamento in acqua stagnante; il fenomeno dei cosiddetti ‘denti rosa’, inoltre, è fenomeno aspecifico, privo di qualsivoglia, serio fondamento scientifico”.
“Nessun soggetto estraneo ha avuto un ruolo, neanche marginale, mediato o indiretto”, prosegue il magistrato. “L’Ufficio, a prescindere dai risultati degli accertamenti tecnici, sin dal primo svolgersi delle indagini, ha inteso operare un controllo capillare su tutti i soggetti a qualunque titolo ‘gravitanti’ nella zona, al fine di poter escludere in modo certo e sicuro qualunque loro coinvolgimento nella vicenda. A tale proposito sono stati identificati, controllati, assunti a sommarie informazioni ed intercettati per lungo tempo tutti i raccoglitori del sughero, gli allevatori ed i soggetti comunque presenti nella zona. Le dichiarazioni di tali soggetti sono apparse lineari, coerenti, scevre da contraddizioni di sorta, riscontrandosi reciprocamente, sulla presenza in zona e sui successivi spostamenti, non facendo emergere alcun elemento di sospetto o di dubbio, e confermando la loro completa e totale estraneità ai fatti: nessuno di loro ha mai visto, né tanto meno incontrato Viviana ed il figlio Gioele”.
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Sono stati acquisiti i relativi tabulati telefonici nel periodo temporale compreso fra i giorni 3 – 19 agosto 2020, “al fine di verificare la compatibilità degli spostamenti compiuti in quel periodo con le dichiarazioni rese agli investigatori”. Dal loro esame non sono emersi elementi di “allarme” di alcun tipo, o comunque circostanze in contrasto con quanto riferito alle Forze dell’Ordine. Anche le conversazioni intercettate (telefoniche ed ambientali), protrattesi per un periodo assai lungo, a partire dall’8.8.2020 fino a tutto il novembre 2020, “non solo non hanno fatto emergere alcun elemento di particolare “allarme” rispetto a quanto in precedenza dichiarato da tali soggetti, ma, al contrario, hanno dimostrato la assoluta genuinità e buona fede di tutte le loro propalazioni sui fatti. L’intera vicenda, in realtà, è ascrivibile in modo esclusivo alle circostanze di tempo e di luogo, al comportamento ed alle condotte poste in essere da Viviana Parisi e al suo precario stato di salute, purtroppo non compreso sino in fondo, in primo luogo da parte dei suoi familiari più stretti”.
Viviana Parisi soffriva di “una patologia importante di valenza psicotica”, patologia “dalla quale non si era mai ripresa completamente”. È quanto mette nero su bianco nella sua autopsia psicologica il professor Massimo Picozzi, uno dei consulenti del Procuratore di Patti Angelo Vittorio Cavallo, che ha depositato la perizia psichiatrica sulla donna morta. In altre parole, la donna soffriva di un “disagio preesistente da almeno due anni”, con aspetti clinici tali “da spingere a ipotizzare un accertamento sanitario obbligatorio per fronte alla situazione, caratterizzati dalla presenza di spunti psicotici, con tematiche mistiche, persecutorie e di rovina”. Con “riferimenti al demonio, interpretatività delirante – il diavolo nel serpente del bastone di Asclepio”, si legge nella perizia.
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Le indagini hanno dimostrato come Viviana, “subito dopo l’incidente in galleria, una volta uscita dall’autovettura e recuperato Gioele, si sia volontariamente allontanata insieme al suo bambino dalla sede autostradale, nascondendosi tra la fitta vegetazione esistente sul bordo autostrada, non rispondendo ai richiami delle persone che pure la stavano cercando“. Il consulente psichiatrico, in particolare, ha analizzato quanto successo la mattina del 3 agosto 2020: Viviana, quel giorno, “si allontanava dalla propria abitazione senza lasciare segni di un progetto autolesivo”, ma, in ogni caso, poco dopo, “l’’incidente stradale ha rappresentato per costei uno stress acuto che ha valicato ogni capacità di elaborazione e risoluzione”; tale situazione è stata causata da “una interpretazione persecutoria dell’evento”, come se il sinistro fosse stato “causato intenzionalmente, per nuocerle, da inesistenti aggressori”, oppure, in alternativa, dall’ “innescarsi del timore inaccettabile che il marito ne approfittasse per toglierle la potestà genitoriale, allontanandola per sempre dal suo bambino”.
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