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L’allarme dell’Ordine dei medici: “Il 50% dei siciliani va oltre lo Stretto per le cure”

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In Sicilia, ogni anno, il 50% dei pazienti sceglie un’altra regione per curarsi, generando un debito di 230 milioni di euro a carico del sistema sanitario regionale e delle famiglie. A lanciare l’allarme è il commento del vicepresidente dell’Ordine dei medici di Palermo Giovanni Merlino nel corso del webinar “Migrazione sanitaria e tumori- spesa, stime e disagi socio economici”.

“Si continua a dibattere sull’emigrazione sanitaria come se fosse ancora solo un problema culturale, fingendo di non sapere che la diffidenza dei siciliani oggi ha un fondamento – afferma Merlino carenze strutturali e infrastrutturali degli ospedali, una politica sanitaria concentrata sulla mera edilizia delle strutture completamente sguarnite dei servizi di foresteria e delle strutture ricettive per accogliere i parenti che assistono i malati. Per un paziente e i familiari di un piccolo centro è molto più comodo, economico e confortevole recarsi in altre regioni per sottrarsi ai disagi di un ricovero a Catania o Palermo, dove non esistono le strutture accessorie”. 

Secondo l’Agenas, sono oltre cinquemila i malati oncologici siciliani che ogni anno scelgono di sottoporsi a interventi chirurgici fuori dalla Sicilia, privilegiando Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia. “Sono numeri allarmanti – ha rimarcato Merlino bisogna allargare il campo di osservazione e andare anche oltre le carenze della sanità locale che la pandemia ha già fatto emergere ampiamente. A partire dall’analisi della regionalizzazione dell’offerta sanitaria dettata dalla riforma del Titolo V della Costituzione che ha determinato oltre alla sventurata competizione tra le regioni, in cui la salute viene venduta come un qualsiasi altro bene di consumo, anche una governance votata alla promozione dei centri super specializzati che creano attrazione per molti pazienti, ma senza il contrappeso di una medicina territoriale adeguata”.

“Se alla migliore offerta sanitaria del Nord aggiungiamo la poco onorevole vetustà delle nostre apparecchiature di radiodiagnostica e radioterapia, non è difficile capire che il primo investimento strutturale da fare è un investimento culturale su una sanità pubblica che abbandoni l’idea della sanità-posto letto”.

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