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Briganti, separatismo, mafia. Dopo 71 anni, ancora “giallo” sulla morte di “Turiddu” Giuliano

Nota del Direttore. Rino Marrone, firma storica del giornalismo, Medaglia d’oro dell’Ordine della Lombardia, per tanti anni cronista di “Telestar” e “Avvenire”, è stato il primo in Italia a intervistare in esclusiva Mariannina Giuliano, sorella di Salvatore Giuliano. Scrive editoriali per Cronaca di Sicilia regalandoci documenti unici come quelli allegati nell'articolo di oggi.

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Nel 1943 aveva 21 anni, nato a Montelepre, territorio a pochi chilometri da Palermo e Monreale, ed era alla ricerca della propria identità, immerso nell’irragionevole pensiero di ribellione contro tutto e tutti; supponenti pensieri e comportamenti giovanili, cresciuti nella povertà e nella fame, che stravolgono ragione e coscienza. Il fatto: sulla strada tra San Giuseppe Jato e Caccamo, una pattuglia di carabinieri dà l’alt a un carretto carico di fieno. Lo guida il 21enne di Montelepre. I militari  ispezionano il carretto e scoprono, nascosti sotto il carico di fieno, sacchi di farina di grano. L’ho acquistato al mercato nero –  dice il giovane – per i miei genitori. Ma la legge è legge, e il sequestro dei sacchi è inevitabile, così come l’arresto  per contrabbando e per violazione delle normative annonarie.

Salvatore Giuliano

Il giovane protesta, poi estrae dalla cintola dei pantaloni la pistola e spara, uccidendo sul colpo il comandante della pattuglia e ferendo altri due uomini.  E fugge, ma perde la carta d’identità, ritrovata poi dai carabinieri in soccorso dei due feriti: l’omicida  è identificato in Salvatore Giuliano, prossimo “re di Montelepre”, e il suo territorio “regno di Turiddu”. Uomini a cavallo, armati di fucili da caccia e mitragliette, scesero dalle montagne del circondario di Montelepre per iniziare la personale guerra di Salvatore Giuliano a colpi di fucili e scariche di mitragliette contro pattuglie di carabinieri in perlustrazione tra Monreale e Partinico e con l’incendiare presidi e caserme di militari e delle Forze dell’Ordine in diverse zone dell’Isola, seminando morti e feriti, e, ancora, per eseguire sequestri di persona a scopo di estorsione di alcuni proprietari terrieri.

Il territorio di Montelepre, venne sottoposto a controlli da un migliaio di uomini, tra carabinieri e agenti di polizia, alla ricerca del giovane bandito e dei suoi complici. Ma la protezione e il silenzio omertoso di alcuni abitanti amici consentivano a Salvatore Giuliano di raggiungere nottetempo il paese, dove trovava sicuro rifugio. Il territorio ora conta poco più di 6 mila abitanti, è amministrato dal sindaco Maria Rita Crisci, eletta nel 2015, e Lista civica; anni prima era stato, per quattro volte, Comune commissariato, ma ora la sua attività amministrativa è incentrata sulla legalità e la crescita dell’assistenza sociale; agli inizi del 1400, era uno sperduto piccolo villaggio di contadini, sorto intorno al Monte d’Oro, che veniva saccheggiato da bande di sbandati provenienti da zone limitrofe.

Monreale, manifesto annuncia la taglia per la cattura di Giuliano. Fotografia di Federico Patellani, 1946.

Era feudo  del monastero di S. Caterina al Cassaro (nominato poi in corso Vittorio Emanuele) di Palermo, e in seguito acquistato, per farne parte della Diocesi di Monreale,  dall’arcivescovo Giovanni Ventimiglia che vi fece costruire mulini, fondachi e, in cima al Monte d’Oro, una torre di avvistamento per la difesa del villaggio dalle incursioni di briganti. Nel 1812, per la progressiva trasformazione del territorio a paese con nuove abitazioni, piazza, strade e chiese, fu ufficialmente eletto il Comune di Montelepre. Il paese del Monte d’Oro, salì tristemente alla ribalta della cronaca siciliana a causa della strage di Portella delle Ginestre, il 1 maggio 1947, con 11 morti e 27 feriti, mentre si celebrava, con rappresentanti sindacali, la Festa del Lavoro.

Il massacro venne  attribuito alla banda armata guidata da Salvatore Giuliano. Gli assalti incendiari e sanguinosi, da Montelepre a Palermo e borghi limitrofi si orientarono poi su quasi tutti i territori isolani. Il 30 gennaio del 1945 la banda Giuliano assaltò il carcere di Monreale, riuscendo a far evadere parenti e amici condannati per vari reati e al patrimonio ambientale con incendi boschivi. Quasi nulla si sa su quali fossero stati i collegamenti e le protezioni di Salvatore Giuliano, di quali rifugi poteva godere, chi forniva le armi alla banda; si ipotizzava che tutta la banda e il suo capo agissero sotto la copertura del Movimento Separatista Siciliano; è, comunque, certo che nel 1945 Salvatore Giuliano partecipò, con il grado di colonnello, alle azioni dell’Esercito Volontario Indipendentista Sicilia (Evis).

Pisciotta e Giuliano

Il disegno separatista  e del’Evis era, però, destinato a naufragare, con la entrata in vigore nel 1947 della Carta Costituzionale su società, diritto e Stato che regola tuttora la nostra vita democratica e repubblicana senza discriminazioni sociali e alcuna distinzione di provenienza. Salvatore Giuliano fu ucciso in un agguato, nella notte tra il 4 e 5 luglio del 1950  durante – secondo una prima ricostruzione – un conflitto a fuoco con militari e carabinieri  nel cortile De Maria, a Castelvetrano, dove si recò in attesa di incontrare una persona con documenti d’identità falsi a lui intestati per poter fuggire, sentendosi ormai isolato e braccato, dalla Sicilia. Successivamente si disse che invece fu ucciso con due colpi di pistola sparatigli mentre dormiva, dal suo fidato luogotenente e cugino Gaspare Pisciotta.

Chi uccise Giuliano? Chi furono i mandanti dell’agguato? Esistono documenti vincolati dal segreto? Il “giallo” non è ancora chiarito. Morto Giuliano, da Corleone la “mafia rurale” dei Liggio, Reina, Bagarella, Provenzano iniziò ad allungare i suoi tentacoli verso Palermo per la clamorosa speculazione edilizia con palazzinari compiacenti – culminata tra il 1960 e il 1980, e con la strage di viale Lazio – per costruire la nuova città con insospettabili presidi mafiosi, come la lussuosa villa di Totò Riina tra la Circonvallazione e la zona di Uditore.

La tomba di Salvatore Giuliano nel cimitero di Montelepre.

Al maxi processo del 1986 ai capi mafia siciliana, nel superprotetto bunker dell’Ucciardone, si disse per la prima volta che era in atto il pericoloso sistema verticistico, dai boss di quartiere a insospettabili di una parte della vita sociale siciliana, di una nuova mafia chiamata Cosa Nostra Siciliana detta Cupola, come risultava negli atti istruttori processuali del giudice Giovanni Falcone e nelle carte giudiziarie del giudice Paolo Borsellino (uccisi con i propri giovani poliziotti di scorta  nel 1992 negli attentati mafiosi di Capaci e via D’Amelio a Palermo): alcuni pentiti di mafia dissero che Salvatore Giuliano era considerato dai vertici della Cupola persona di “tutto rispetto” e “uomo d’onore”.

Mariannina Giuliano, sorella di Salvatore, ritenuta depositaria dei segreti del fratello, intervistata in esclusiva da “Telestar” (gennaio 1966), quotidiano del pomeriggio di Palermo, dichiarò tra l’altro: “Turiddu era il genio del bene per tutti e tante fesserie sul suo conto sono ancora in giro… parlate con il maresciallo Lo Bianco, lui conosce tutta la verità su mio fratello… anche su Portella delle Ginestre conosce la verità, e cioè che mio fratello non c’era… tutti sanno chi è il maresciallo Lo Bianco… parlate con lui…Turiddu non faceva male a nessuno, aiutava le famiglie povere… tutta la Sicilia lo sa…scrivetelo, è la verità, come è vero il tradimento a mio fratello… ucciso da Gaspare Pisciotta… cugini erano… si volevano bene, ma  quello voleva essere comandante di quei bravi picciotti… è morto in carcere, all’Ucciardone nel 1954, il caffè con il veleno per topi…se la meritava questa fine,  non so chi ordinò di ucciderlo, non conosco segreti, io!”.

 

Scarica l’intervista completa dell’epoca a Mariannina Giuliano in formato Pdf QUI e in formato Jpeg in basso.

 

 

 

 

 

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