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Liberazione, quel “Secondo Risorgimento” che cancellò il nazifascismo in Italia | EDITORIALE

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Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943,  gli italiani si mobilitarono per il nuovo Risorgimento nell’ambito della lotta contro il nazifascismo. Forza motrice di movimenti politici, militari e di formazioni partigiane, fu il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), con sede a Milano e che, in venti mesi, sino a maggio 1945, condusse a conclusione l’eroica impresa. La data del 25 aprile, come Festa Nazionale della Liberazione, è per ricordare la data di appello all’insurrezione. Promotori del CLN, furono gli usciti dalla clandestinità, Alcide De Gasperi per la Democrazia Cristiana; Ugo La Malfa per il Partito d’Azione; Pietro Nenni per il Psiup; Giorgio Amendola per il Pci; Meuccio Ruini per Democrazia del Lavoro; Alessandro Casati per i Liberali. E, intanto, si costituivano i primi gruppi partigiani spontanei, organizzandosi nelle aree dove si estendeva l’occupazione tedesca.

Il nazifascismo si sviluppò dalla metà degli anni ’20 fino alla metà della Seconda Guerra mondiale, quando tra alcuni movimenti partigiani già crescevano le motivazioni per organizzarsi contro l’oppressione tedesca, ad essi si unirono anche ufficiali Alpini ritornati dalla campagna di Russia delusi per le loro perdite di uomini, e c’erano anche le formazioni garibaldine comuniste: si preparavano alla lotta che avrebbe ben presto suscitato la spontanea rivoluzione popolare con ampie formazioni di partigiani unitamente a ufficiali e militari dell’esercito che si erano dati alla clandestinità. Pur non possedendo molte armi, le formazioni anti-nazifasciste si distinsero, nelle città, nelle valli e sui  monti in azioni pericolose e coraggiose contro convogli militari tedeschi, bloccando le strade di montagna, facendo saltare ponti su cui attraversavano i carri dei tedeschi, salvando gruppi di famiglie oppresse e minacciate dall’esercito nemico.

E molte donne, mogli e sorelle di partigiani, si unirono alla campagna contro i nazifascisti , alcune armate di fucile e mitra, altre come porta ordini, e altre ancora come portatrici di cibo. Ma in quanti erano i partigiani? Stime non ufficiali dicono che all’appello del CLN risposero da subito di circa 4500 al Nord e di circa 1500 al Sud. All’inizio, sembrava una lotta impari, tra partigiani e tedeschi bene armati e organizzati,  ma il coraggio contagioso e il sacrificio personale di ogni partigiano ebbe il sopravvento sul nemico, e grazie al notevole contributo della successiva massiccia e spontanea sollevazione popolare  nelle città in cui gravava l’occupazione tedesca, e nelle regioni più a rischio di rastrellamenti e fucilazioni di massa di interi gruppi familiari.

In Sicilia, l’insurrezione fu, per i siciliani, come il ritorno ai “Vespri siciliani”: contadini, studenti, impiegati, uomini e donne della cultura, operai, sacerdoti scesero nelle piazze, andarono a scoprire nei bunker di montagna i presidi tedeschi da cui si cannoneggiavano le valli  e i borghi sottostanti. I rintocchi delle campane delle chiese accompagnavano i rivoltosi, infondevano più coraggio. Molti partigiani durante le incursioni finirono per essere catturati e fucilati. Nonostante l’armistizio dell’8 settembre 1943, il potere politico tedesco era ancora presente in numerose regioni dal Nord al Sud: cosicché  in quelle regioni si concentrarono le prime azioni partigiane, mentre al Sud i combattenti della Resistenza si affiancarono agli Alleati. Ben presto, crebbero anche formazioni autonome partigiane legate a partiti politici antifascisti, e molti giovani si erano già dati alla clandestinità per non sottoporsi ai precedenti  bandi per l’arruolamento forzato firmati da Mussolini.

Anche numerose formazioni di cattolici parteciparono alla rivolta. Il termine “Partigianoha origini medievali e significa azione a difesa del proprio territorio. Ma i politici, preferivano definire i partigiani “Volontari per la libertà”; nell’uno e nell’altro caso, tutti i rivoltosi si consideravano veri partigiani, uniti e organizzati ovunque, e andavano a combattere con la coccarda tricolore al petto.  Tutti uniti contro il male, seppure di città diverse si dimostrarono forza d’urto eccezionale, senza distinzioni sociali e politiche. Hanno ragione gli storici nel definire quelle gloriose giornate come il Secondo Risorgimento italiano, perché si apriva per l’Italia il cammino della democrazia, si riscoprivano i valori  umani che erano stati oppressi,  e si ripartiva per la nuova umana condizione sociale in un Paese che era stato distrutto e ferito a morte. E, oggi 25 aprile, si ricordano, seppure con le limitazioni per il Covid, quelle gloriose giornate lunghe di venti mesi, dall’estate 1943 a fino metà maggio 1945; il tanto che bastò per mettere le cose e gli uomini al posto giusto.

 

 


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