“Pieno sostegno e condivisione della scelta dei ristoratori che protestano e apriranno ad oltranza. Io ho chiuso il ristorante, ma se fossi stato aperto, non posso nemmeno pensare cosa avrebbe significato pagare i debiti, gli affitti, avere l’angoscia di non sapere come andare avanti. Quindi sono accanto a tutti loro. Lo dico ad alta voce”. A dirlo è il noto cuoco e oste siciliano Filippo La Mantia, che commenta la protesta di 1200 ristoranti che, dal 6 aprile su iniziativa del Mio Italia, il Movimento Imprese Ospitalità, terranno aperto a pranzo e a cena per protestare contro il prolungamento delle misure restrittive.
“Condivido la loro scelta, perché mi metto nei panni dei miei colleghi amici, imprenditori, bar, osterie, e mi rendo conto che questa cosa è stata gestita malissimo – incalza La Mantia – credo che ormai il governo abbia talmente somatizzato queste misure, che le adozioni ad oltranza sono considerate normali. Io sono per l’osservanza della legge, ma qui non ci si rende conto che dietro ci sono crisi, fallimenti, chiusure, disperazione. Ci sono una serie di attività che non hanno subito nessun calo: i supermercati, chi li rifornisce. Mentre i ristoranti e i bar sono stati tagliati completamente fuori senza pietà”.
Sicilia “arancione” ma nelle tasche dei ristoratori è “profondo rosso”: a loro chi ci pensa?
“L’ho sempre detto: bisognava fare una sorta di Nas per capire chi poteva restare aperto, e chi no”, dice lo chef, che spiega la sua situazione: “Io per ora mi sto vivendo questa storia indirettamente perché ho avuto la grande consapevolezza, forse pazzia, di chiudere il ristorante. Faccio il delivery per restare accanto ai clienti, per dare uno stipendio ai quattro ragazzi che lavorano con me. Sto lavorando, ma economicamente parlando, alla mia persona non entra assolutamente niente. Vivo alla giornata, sperando che la situazione si risolva”, conclude.