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Mafia, su 780 aziende confiscate in Sicilia solo 39 attive: “Governo regionale non all’altezza”

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In Sicilia, su 780 aziende confiscate in via definitiva alla mafia in gestione solo 39 sono attive. Su 459 destinate, solamente 11 non sono state destinate alla liquidazione. È il dato “allarmante” contenuto nella relazione della Commissione Antimafia Ars sui beni confiscati alla criminalità organizzata e illustrata oggi dal presidente Claudio Fava.

“Per lo Stato, che ha fatto della tutela dei livelli occupazionali nelle aziende confiscate un punto d’onore e un obiettivo prioritario della legge, questi numeri rappresentano una secca sconfitta, appena mitigata da alcune esperienze virtuose – si legge nella relazione – al netto di poche eccezioni, la prassi prevalente, almeno fino ad oggi, sembra l’accompagnamento delle aziende tolte alla mafia al declino ed infine alla ‘morte’, con danni significativi per i posti di lavoro perduti e per l’economia del territorio”.

Nella sua audizione in Commissione, il vice capocentro della Dia di Palermo colonnello Paolo Azzarone ha evidenziato come “le imprese sottratte al controllo di indiziati mafiosi cominciano un percorso di legalità per così dire accidentato, perché quando tali imprese sono nella diretta disponibilità del titolare indiziato mafioso, godono di quello che la giurisprudenza ormai definisce avviamento mafioso. Dopo il sequestro per molte imprese, purtroppo, si avvicina il momento del fallimento perché escono letteralmente dal mercato, non riescono più ad avere quel margine di utilità che riuscivano ad avere con il titolare mafioso”.

A mancare, secondo la Commissione, è una “efficace cabina di regia. Responsabilità e competenze funzionali vanno oggi spalmate su molti soggetti istituzionali (Agenzia, prefetture, tribunali, amministratori e coadiutori giudiziari, tavoli provinciali, nuclei di supporto), non sempre utilmente e consapevolmente collegati tra loro. Aver rinunziato a impegnarsi per creare questo circuito della legalità – si legge ancora nel documento – è il frutto di un’incuria istituzionale e di una mancanza di spirito d’iniziativa che non può essere giustificata con lacune legislative o penuria di mezzi: è mancata, in questi anni, la volontà politica (parlamento e governi) di trasformare il destino delle aziende confiscate alle mafie in una vera, concreta e utile sfida civile del sistema paese. Tutta l’attenzione e la tensione morale è stata posta sul momento sanzionatorio; poco o nulla, su quello della ricostruzione”.

Claudio Fava

“E mentre la criminalità organizzata è ben capace di creare i propri circuiti affaristici e d’impunità tra le proprie aziende, lo Stato ha lasciato che ciascuna di esse, una volta liberata, fosse condannata alla propria solitudine”. Un quadro “preoccupante ma non compromesso”. Così il presidente della Commissione Antimafia Ars Claudio Fava, ha definito lo stato di attuazione della legge Rognoni-La Torre. Un’applicazione che “in questi anni ha mostrato significative e preoccupanti battute d’arresto su tutto il territorio nazionale” e di cui “la Sicilia è la sintesi più dolente, perché è nell’Isola che sono allocate la maggior parte delle aziende e dei beni immobili sottratti all’economia mafiosa ed è anzitutto qui, in Sicilia, che sul destino finale di questi beni si gioca la partita più difficile“.

La relazione della Commissione, presentata oggi all’Ars, ha richiesto otto mesi di inchiesta, oltre 50 audizioni svolte, centinaia di atti giudiziari e amministrativi acquisiti. Secondo l’Antimafia regionale, l’applicazione della legge si è “molto concentrata sul momento repressivo (sequestro e poi confisca del bene all’organizzazione mafiosa), accettando, con una sorta di fatalistica rassegnazione, che la fase propositiva e propulsiva della legge finisse travolta nell’improvvisazione delle istituzioni e nella farraginosità della burocrazia“.

Un ruolo ha giocato anche “una volontà politica blanda, minore, quasi dimessa, che ha manifestato tutta la propria impotenza nel modo in cui per molti anni l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati è stata considerata un ente minore di sottogoverno al quale destinare poca attenzione, poche risorse e poco impegno”.

La Regione Siciliana – incalza Fava –  dovrebbe svolgere il ruolo di regione capofila a livello nazionale nel dare impulso a iniziative che consentano un miglior riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità, dal momento che il numero di gran lunga più alto di immobili e aziende confiscate alle mafie riguarda il suo territorio: un terzo del totale a livello nazionale e il doppio della Campania, seconda regione come numero di beni. La questione dei beni confiscati dovrebbe essere una assoluta priorità del Governo regionale, soprattutto per quanto riguarda il sostegno agli enti locali assegnatari e la previsione di specifiche misure a tutela delle aziende confiscate” e invece la Regione “ha dimostrato di non aver elaborato una strategia all’altezza del suo compito in questa materia, con gravi effetti economici, sociali ed etici sulla collettività siciliana”.

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