“A rimarcare la costante pericolosità dell’organizzazione mafiosa, sono state registrate concrete progettualità in ordine alla pianificazione di alcune rapine (in danno di portavalori e di distributori di benzina), da commettere attraverso l’uso di armi (anche automatiche da guerra) e di esplosivo al plastico“. Lo scrivono gli inquirenti nel fermo che ha portato in manette sedici persone a Palermo per mafia e azzerato il mandamento di Tommaso Natale.
“L’intento dei vertici della famiglia mafiosa dello Zen era quello di assaltare, usando proprio le armi e l’esplosivo di cui evidentemente dispongono, un portavalori di una società di vigilanza non specificata, al fine di incamerare liquidità da riutilizzare per il sostentamento degli affiliati liberi e detenuti – dicono – analoga progettualità emergeva in danno di un distributore di benzina, che usufruisce di vigilanza armata: in tale occasione il gruppo di Cusimano non avrebbe esitato a usare le armi per neutralizzare il vigilante e rapinare l’esercizio commerciale”.
I commercianti che si opponevano al pizzo venivano “puniti” con il danneggiamento dei propri esercizi: “In tema di attività estorsive si è registrato, in tutto il territorio del mandamento, una pervicace e incisiva azione vessatoria in danno di imprenditori e commercianti, finalizzata, da una parte, a imporre i mezzi d’opera di alcuni affiliati mafiosi a tutti gli imprenditori impegnati in attività edili e dall’altra a riscuotere il pizzo, in maniera capillare, dai commercianti locali”, dicono gli investigatori. “In caso di resistenze da parte degli operatori economici, gli affiliati non hanno esitato a porre in essere danneggiamenti, anche di rilevante entità, incendiando i mezzi d’opera“. Sono state ricostruite, infatti, in maniera analitica, 13 attività estorsive aggravate dal metodo mafioso (10 consumate e 3 tentate), nonché due danneggiamenti seguiti da incendio in danno di altrettante imprese. Hanno collaborato con gli investigatori, denunciando i fatti, 5 imprenditori.
SUL GOMMONE PER NON ESSERE INTERCETTATI. I boss della nuova Cupola mafiosa di Palermo si riunivano in gommone per evitare di essere intercettati. “In Commissione un uomo d’onore viene ammazzato… se ne parla… perchè dovrebbero morire poi questi che l’hanno fatto… e vediamo se noi dobbiamo camminare storti con la ‘Cosa nostra’ o dritti. Se io t’affucu (ti strozzo, ndr) camminiamo diritti e nessuno mi può dire qualche cosa… nessuno lo farà”.
LA SFIDA A DUELLO TRA I BOSS. Una sfida a duello tra boss allo Zen di Palermo:”Fra i tanti momenti di tensione si è registrato, lo scorso settembre 2020, un grave episodio allo Zen, allorquando due gruppi armati si sono sfidati a duello – raccontano gli investigatori – i due gruppi, infatti, di cui uno composto da Andrea e Carmelo Barone appoggiati da Giuseppe Cusimano, si sono affrontati armi in pugno, in pieno giorno e sulla pubblica via, esplodendo svariati colpi di pistola che solo per un caso fortuito non hanno provocato la morte o il ferimento dei contendenti o di passanti”.
“Questi fatti, assieme ad altri episodi, hanno indotto i vertici mafiosi a prendere provvedimenti nei confronti dei riottosi, meditando la soppressione di alcuni soggetti non allineati, la cui realizzazione è stata scongiurata grazie all’opera di prevenzione degli investigatori”, spiegano gli inquirenti. Nell’ambito delle dinamiche associative si “è evidenziata la nascita di una nuova articolazione mafiosa nel mandamento di Tommaso Natale, ovvero la famiglia mafiosa di Zen-Pallavicino affidata alla gestione di Cusimano con l’aiuto di Francesco Abate”.
“Proprio tale articolazione è stata caratterizzata da problemi gestionali, dovuti all’esuberanza criminale e alla violenza di taluni gruppi di persone che, non affiliate formalmente a cosa nostra, hanno creato varie criticità sul territorio”, dicono i pm.