Le mani della mafia palermitana su bar e pasticcerie del centro storico di Roma. E’ quanto scoperto dai carabinieri del Ros nell’operazione, coordinata dalla Dda di Roma, che ha portato all’emissione di una ordinanza cautelare nei confronti di 11 soggetti. Secondo quanto emerso dalle indagini, i clan mafiosi riciclavano ingenti somme di denaro nella ristorazione per aprire locali nella zona di Testaccio e Trastevere.
Le accuse sono di trasferimento fraudolento di valori, bancarotta fraudolenta, autoriciclaggio, reati commessi per agevolare l’associazione mafiosa “Cosa Nostra”. Figura centrale dell’operazione, al quale nel novembre 2018 sono stati confiscati beni per 15 milioni di euro, è il palermitano Francesco Paolo Maniscalco: figlio di un soggetto vicino alla famiglia palermitana di Corso dei Mille, è risultato socio occulto delle attività commerciali emerse.
Uomo di fiducia di Giuseppe Salvatore Riina, figlio del super boss Totò Riina, è stato condannato definitivamente per partecipazione ad associazione mafiosa, nonché per la rapina multimiliardaria alla sede palermitana della “Sicilcassa” del ‘91.
Nell’indagine capitolina sono finiti anche i fratelli Salvatore e Benedetto Rubino, legati ad ambienti di ‘Cosa Nostra’. Il primo “investimento” risale al 2011 con l’apertura del bar-pasticceria “Sicilia e Duci srl” a Trastevere per il quale nel 2015 è scattato un sequestro di prevenzione a carico della società.
Prima del provvedimento di esecuzione, gli indagati però hanno proceduto allo svuotamento del patrimonio della “Sicilia e Duci srl” creando una nuova società con cui hanno aperto, sempre a Trastevere, il bar da “Da Nina”, sottoposto oggi a sequestro preventivo.