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Blitz nell’Agrigentino: “La mafia sosteneva un deputato dell’Ars”

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Blitz nell’Agrigentino: non solo la politica locale, con l’elezione di un consigliere comunale, ma anche quella regionale sarebbe stata al centro degli interessi del gruppo mafioso di Palma di Montechiaro gestito da Rosario Pace, 60 anni.

Secondo gli investigatori, infatti, il gruppo avrebbe offerto “sostegno elettorale ad un inconsapevole onorevole eletto all’Assemblea regionale Siciliana con l’aspettativa di ricevere favori”.

Le richieste riguardavano soprattutto le assunzioni. “Hanno telefonato per confermare nome e cognome – è il contenuto di un’intercettazione – fai arrivare il curriculum”. Le segnalazioni giungevano quindi “a influenti rappresentanti della politica e delle istituzioni locali ottenendo rapidamente le risposte desiderate“.

C’è anche Salvatore Montalto, consigliere comunale di Palma di Montechiaro eletto nel 2017, fra i destinatari delle misure cautelari. Avrebbe ricoperto il ruolo di “capo decina del parraco” di cui Rosario Pace era punto di riferimento. Proprio l’elezione di Montalto sarebbe stata possibile, scrivono gli investigatori, “grazie all’apporto determinante degli altri membri del parraco”. 

L’intercettazione:Si vota fino alle 11 e poi contiamo… porta un normografo per un’analfabeta… minimo 450 voti deve prendere… alla sezione X siamo avanti… … tutti li devo tagliare quelli che non rispondono…”.

È Palma di Montechiaro il centro dell’indagine, coordinata dalla Dda di Palermo, che questa mattina ha portato all’esecuzione di 35 misure cautelari nella provincia di Agrigento. Una consorteria mafiosa organizzata secondo il modello delle “stiddare” ma con la rinnovata veste dei vecchi “paracchi” tra i quali è emerso quello gestito dai Pace, i “Cucciuvì”.

Al vertice Rosario Pace, 60 anni, il cui cugino, Domenico, è responsabile dell’omicidio del giudice Livatino commesso nel 1990. Rispuntati anche nomi collegati ai gruppi storici di Calafato e Benvenuto. Appalti e politica negli interessi del gruppo criminale, ma anche droga, rapine e estorsioni. Fra queste, la “messa a posto” di un’Ati edile di Favara per la realizzazione del Quartiere II denominato Stazione Pizzillo di Palma di Montechiaro.

Vedi cosa devi fare, ora c’è la festa e festeggiamo tutti – si ascolta in un’intercettazione – gli vado a dare fuoco… … gli puoi anche far cadere i denti…”. Gli interessi del gruppo si estendevano anche sui servizi funebri, gestiti proprio da due appartenenti al sodalizio con il ruolo di soldati. In alcuni casi persone sono state obbligate ad assegnare a due ditte diverse lo stesso funerale.

Nel corso dell’indagine, a Favara, ha assunto un ruolo cardine Giuseppe Blando, 57 anni, anello di raccordo tra Cosa nostra palermitana e gli stiddari di Palma di Montechiaro, colpito da misura per la sua capacità di intermediarie per grosse quantità di cocaina, eroina e hashish, interagendo con i palermitani e i calabresi. Giuseppe è fratello del più noto Domenico, arrestato nel maggio del 1996 assieme alla moglie, entrambi favoreggiatori della latitanza di Giovanni Brusca.

 

 


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