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Trattativa Stato-mafia, il giudice del maxiprocesso: “Mai esistita, lo dicevano anche Falcone e Borsellino”

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La Trattativa Stato – mafia non è mai esistita, lo sostiene il giudice del maxiprocesso Alfonso Giordano che dà forza alla sua tesi citando le teorie di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I due magistrati assassinati dalla mafia nel 1992 consideravano l’ipotesi di una “collaborazione” tra Cosa nostra e lo Stato del tutto inesistente anche per la natura del crimine organizzato che “non accetta suggerimenti“.

Io – racconta Alfonso Giordano nel corso di una intervista concessa a Il Riformista – ho rappresentato lo Stato nel processo più duro contro Cosa Nostra. Il nostro compito era quello di non fare sconti a nessuno, e non ne abbiamo fatti. Diciannove ergastoli comminati insieme e poi confermati in appello e in Cassazione significano che lo Stato con la mafia ci andava giù duro. Alla storia della cosidetta Trattativa non credo e nessuno che conosce i fatti può credervi. Si era incaricato di smentirla Giovanni Falcone. La aveva considerata una ipotesi inesistente Paolo Borsellino“.

Secondo Giordano, il giudice Falcone escludeva completamente l’ipotesi perchè “la mafia non accetta suggerimenti e non si presta a cabine di regia congiunte con nessuno. Sui collaboratori di giustizia dobbiamo stare molto attenti, i depistaggi esistono sempre. Chiedo ai colleghi magistrati di mettere sempre il massimo dell’attenzione sull’attendibilità di chi collabora, perché le finalità della collaborazione sono sempre diverse da quelle che noi immaginiamo. Ciascuno ha in mente una propria mappa di convenienze e connivenze, di interessi particolari. Chi ricostruisce reportage sulla base delle dichiarazioni di presunti pentiti inattendibili non fa un servizio alla verità dei fatti”.

“C’è un’esagerazione, un giustizialismo mediatico. Con una preponderanza sull’interpretazione dei fatti – aggiunge Giordano – i fatti andrebbero trattati quali sono, e non come forse sono, o come forse vorremmo che fossero andati. Qui c’è una confusione di ruoli che secondo me è dovuta alla televisione, a un linguaggio poco accurato che la si concilia con l’attenzione certosina di tutti i dettagli della ricostruzione dei fatti, cosa di cui invece si incarica il processo. Un difetto che si è aggravato nel tempo”.

Su Berlusconi e i fratelli Graviano il giudice del maxiprocesso definisce la vicenda inverosimile attribuendo alla “voce” un tentativo di attribuirsi maggiore autorevolezza reinventandosi custodi di segreti che in realtà non esisterebbero.

“Per quel che so – dice Giordano –  Berlusconi ha avuto delle minacce da Cosa nostra, sia dal punto di vista economico, sia da quello fisico. Tramite Dell’Utri, di cui si fidava, accettò di assumere Mangano, un personaggio incaricato da Pippo Calò di tenere Berlusconi sotto protezione. Come è noto abbiamo condannato Calò e Mangano, dopo aver acquisito tantissima documentazione. Agli atti non risulta niente di più su Berlusconi, ma vedo che il suo nome continua a circolare a prescindere”.

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