Il titolo rischia di ingannare ma non per molto, giusto il tempo di sfogliare le prime pagine per entrare nei corridoi spirituali della scrittura di Gino Pantaleone. Il rigore della ricerca scientifica che si sposa con la fluidità della scrittura naturale, marchio di fabbrica dell’autore palermitano, facondo ma non per questo autoreferenziale, puntuale ma non didascalico e con la guida del “solito” Dostoevskij che si ritrova già tra le prime citazioni.
“Liber – Storia della scrittura, biblioclastie, letture resistenti“ è il titolo della sua ultima fatica, edita da Ex Libris, parla di nascita, evoluzione e palingenesi del modo più antico con cui l’uomo ha iniziato a comunicare con se stesso e i suoi consimili. La scrittura come forma di catarsi.
L’autore, saggista e poeta, in questo volume percorre un excursus sulla storia e l’evoluzione del libro e di tutto ciò che lo compone, lo alimenta e, al tempo stesso lo distrugge.
Il libro come bene supremo, capace di creare o modificare le conoscenze e le coscienze nell’uomo che ha popolato la terra sin dalle più remote origini.
La storia della scrittura, gli strumenti e i supporti utilizzati nei secoli, i codici miniati e l’invenzione della stampa: sono questi i temi trattati nei capitoli di Liber in cui, nell’ultima sezione, Pantaleone approfondisce la problematica dei libri che, rinnegati dalle istituzioni, hanno avuto il loro triste epilogo nel violento rogo purificatore.
La prefazione è del sociologo Francesco Pira, Docente presso l’Università degli Studi di Messina. “L’autore – scrive Pira – analizza tutte le varie fasi della scrittura in maniera eloquente e affascinante, mettendo a nudo i caratteri rupestri fino ad arrivare ai caratteri a stampa, documentando tutto con esempi e fonti. Un grande lavoro quello di Pantaleone che (…) va ad esaminare le fasi linguistiche della società, partendo proprio dalle primissime forme”.
E questo è proprio il messaggio dell’opera: “Il valore del libro e delle biblioteche, ricostruendo i frammenti della società che cambia. Corre veloce il tempo, ma i libri – aggiunge Pira – e ciò che contengono sono lì che ci aspettano sempre per ricordarci cosa è accaduto o per insegnarsi qualcosa”.
In questo lavoro, forse, si può trovare un Pantaleone diverso, a conferma della poliedricità dell’uomo e dello scrittore. Evidente la cura dei particolari anche in un libro in cui lascia volutamente, e doverosamente, spazio alla linea obbligata e tracciata dalla ricerca che non riesce ad imbrigliare colori e pastosità di una penna “naturale”. Il poeta che al servizio del messaggio diretto esorcizza i postulati stantii della comunicazione mettendosi alla prova ma rivolgendo, e ponendosi, l’interrogativo se siano i libri a imitare la vita o la vita ad imitare i libri.
Nel testo le parole fluiscono, “si stendono sul sentiero tra ciottoli di velluto” rivelando il mistero della parola che può ritornare attraverso il silenzio della lettura “conquistato lì dove solo solo il cuore sente, dove il buio svela il sonno, dove l’dea spiana ogni via, lì controvento (…)”. Citazioni passim da “Il vento occidentale” silloge di poesie di Gino Pantaleone, pubblicata nel 2007, che rendono l’idea della coralità d’intenti che animano il lavoro dell’autore che si dipana come in un concept nell’armonia di un arabesco dialettico per esplodere in un unico messaggio che si chiama amore.
In un’epoca in cui sembra tutto concorra a spingerci a salvare soltanto la pelle pare ci sia ancora qualcuno in grado di suggerire, magari in punta di penna, che vale la pena provare a salvare anche l’anima.