Un omicidio ma anche episodi di efferata violenza, come la rapina, preceduta da un’aggressione, a una donna nigeriana che teneva in braccio il figlio di un anno. Sono alcuni dei reati contestati ai 12 pakistani arrestati questa notte dai carabinieri di Caltanissetta e dalla Squadra Mobile nissena. Vittima dell’omicidio, avvenuto il 3 giugno, Adnan Siddique, “colpevole” di essersi ribellato ai suoi caporali e di averli denunciati.
Per il delitto erano stati arrestati i sei soggetti finiti in manette oggi: Muhammad Shoaib, Muhammad Awan, Shujaat Ali, Bilal Ahmed, Ali Imran, Muhammed Mehdi e Muhammad Nawaz. Già prima dell’omicidio, la banda aveva commesso numerosi episodi di violenza con un’escalation, sottolineano gli investigatori, “impressionante”.
Un cittadino nigeriano era stato aggredito e malmenato a colpi di bastone e spranghe di ferro per aver chiesto il corrispettivo dell’attività di bracciante agricolo svolto per loro conto. Una donna nigeriana era stata aggredita mentre stringeva tra le braccia il figlio di appena un anno e rapinata di duecento euro.
In un’altra occasione l’organizzazione aveva estorto a un pakistano la somma di 300 euro profitto di un’intermediazione illecita finalizzata al caporalato. Il giorno dopo, l’uomo è stato preso per le caviglie e le spalle, caricato su un’auto e portato nella casa di uno dei membri dell’organizzazione dove per circa tre ore è stato minacciato e costretto a chiamare il padre in Pakistan per farsi mandare 5.000 euro per ottenere la sua liberazione.
Fra i reati commessi, anche l’irruzione, il 10 dicembre 2019, in una nella comunità “I Girasoli Onlus” di Milena dove due minori ospiti della struttura sono stati picchiati per aver avuto una discussione con un altro minorenne che aveva invocato l’intervento dell’organizzazione.
Gli investigatori hanno trovato pure dei “libri mastri” nei quali erano annotati i nomi di tutti i lavoratori sfruttati e il compenso, circa 30 euro al giorno. I libri sono stati trovati durante la perquisizione nella casa di uno degli arrestati. L’operazione “Attila” ha tratto origine dai numerosi interventi e dalle numerose denunce presentate da altri pakistani, anche nelle stazioni dei carabinieri di alcuni paesi vicini come Milena e Sommatino.
Secondo i militari, leader indiscusso del gruppo era Mahammad Shoaib che, insieme a Bila Ahmed, Ali Imran, Ali Mohsin e Giada Giarratana, reclutavano manodopera pakistana col metodo del caporalato. I loro connazionali venivano “offerti” ai titolari di aziende agricole “in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, accordandosi sull’entità del compenso, che si aggirava sui 25/30 euro al giorno, e trattenendo per sé una parte o persino la totalità del corrispettivo“.
Le rimostranze avanzate dai lavoratori per ottenere i soldi guadagnati venivano immediatamente represse con efferate spedizioni punitive. Coinvolti anche i titolari delle imprese agricole dove i pakistani venivano condotti a lavorare in quanto “trovavano conveniente rivolgersi ai caporali loro connazionali perché ben consapevoli che nessuna denuncia sarebbe mai potuta intervenire a danneggiarli, proprio per le condizioni di sfruttamento dei lavoratori”.