Droga e kalashnikov: così i clan gestivano gli affari. I gruppi di presunti trafficanti e spacciatori, infatti, pare potessero contare su un potente arsenale composto da armi da guerra e comuni. È quanto emerge dal maxi blitz antidroga con 101 indagati eseguito all’alba dai carabinieri del Comando provinciale di Catania.
Tutti sono accusati, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti, con l’aggravante del metodo e della finalità mafiosa, e detenzione illegale e porto di armi da fuoco. L’indagine ha disarticolato i diversi gruppi criminali che gestivano 12 imponenti piazze di spaccio radicate nel popolare quartiere di San Giovanni Galermo, roccaforte storica del traffico e della vendita di stupefacenti nel capoluogo etneo.
Secondo l’accusa, “le diverse squadre che gestivano le ‘piazze di spaccio’ godevano di una chiara autonomia sotto il profilo della competenza territoriale e della gestione organizzativa, ma agivano comunque sotto il diretto controllo del gruppo Nizza aderente alla ‘famiglia’ di Cosa nostra catanese dei Santapaola-Ercolano, che imponeva ai ‘capi piazza’ il rifornimento esclusivo dello stupefacente dal medesimo gruppo dei costi e i quantitativi di droga da acquistare”.
Le telecamere degli investigatori dell’Arma hanno registrato centinaia e centinaia di cessioni giornaliere. “Le piazze di spaccio erano organizzate imprenditorialmente con precisi orari di lavoro e turnazioni che coprivano l’intero arco della giornata”, spiegano gli investigatori.
Intercettazioni, videoriprese ma anche le dichiarazioni di due recenti collaboratori di giustizia. C’è tutto questo dietro le indagini dell’operazione “Skanderberg”. L’attività investigativa, scattata a ottobre del 2018 e andata avanti sino a maggio 2019, ha potuto contare, infatti, anche sul riscontro delle dichiarazioni dei pentiti Dario Caruana e Silvio Corra. Quest’ultimo, in particolare, secondo gli investigatori dell’Arma avrebbe assunto le redini del clan Nizza, dopo l’arresto di Lorenzo Michele Schillaci, fornendo “un rilevante contributo alla ricostruzione delle dinamiche mafiose”.
“Parte dei proventi delle piazze di spaccio servivano anche al mantenimento delle famiglie degli affiliati detenuti. In particolare sono state trovate le iniziali di 43 carcerati con accanto la somma spettante alla famiglia per un importo totale mensile di circa 42.000 euro”.