Il 16 ottobre scorso è stata condannata a un anno e un mese di reclusione per truffa alle assicurazioni, oggi Silvana Saguto, ex presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, attende la sentenza del processo sulle presunte irregolarità commesse nella gestione dei beni confiscati alla mafia. La Procura ha chiesto 15 anni.
Al centro della vicenda il sistema di gestione del patrimonio tolto alla malavita organizzata che, secondo l’accusa, veniva affidato sempre agli stessi amministratori spinti dal tornaconto personale.
Ci sono voluti tre anni di udienze, oltre cento, e una serqua di testimoni per arrivare al D-Day di oggi. Durante tutto questo tempo, Saguto, radiata dalla magistratura, si è sempre professata innocente. L’anno scorso alla trasmissione “Le Iene“, su Italia 1, riferendosi al giornalista che le rivolgeva domande, rispose che dopo la sentenza qualcuno avrebbe anche potuto doversi scusare per il trattamento ricevuto negli anni del processo.
A Caltanissetta i giudici annunceranno oggi pomeriggio la decisione. Secondo l’accusa, l’ex presidente “era a capo di un sistema perverso e tentacolare” di gestione dei beni sequestrati. È lei la principale imputata nel giudizio, su cui gravano 73 capi di imputazione, che hanno messo in discussione quello che è stato definito “il carrozzone dell’antimafia siciliana”. Gli inquirenti hanno parlato di un “sistema” composto da magistrati avvocati, prefetti, vertici delle forze dell’ordine”.
I pm Maurizio Bonaccorso e Claudia Pasciuti, alla fine della requisitoria, avevano chiesto per Saguto 15 anni e 10 mesi di carcere e l’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici perché l’imputata “era la figura centrale di un vincolo associativo stabile” che ha “sfruttato e mortificato il suo ruolo di magistrato”. La difesa, invece, nell’arringa difensiva ha respinto le accuse parlando di “processo anomalo, per quantità e per qualità”.
Le accuse di corruzione riguardano oltre lei perfino un ex prefetto, gli altri tredici sono magistrati e avvocati. Per il legale Gaetano Cappellano Seminara, tra i più noti amministratori giudiziari erano stati chiesti 12 anni e 3 mesi di reclusione. Per l’ex docente della Kor di Enna, Carmelo Provenzano, invece, 11 anni e 10 mesi. Fondamentali furono le intercettazioni con microspie piazzate nell’ufficio della Saguto con cui è stato possibile ricostruire i rapporti di collaborazione tra gli imputati. Provenzano, si può ascoltare in una delle registrazioni, ebbe modo di definire l’imputata “la mia regina“.
Le richieste di condanna della Procura. Per Nicola Santangelo chiesti 10 anni e 11 mesi di reclusione. Per Walter Virga 2 anni di reclusione, per Emanuele Caramma sei mesi di reclusione; per Vittorio Saguto assoluzione perché il fatto non costituisce reato; per Roberto Di Maria chiesti 4 anni e 4 mesi di reclusione; per Maria Ingrao chiesta la condanna a 5 anni di reclusione; per Calogera Manta è stata chiesta la condanna a 4 anni e sei mesi di reclusione; per Rosolino Nasca, della Dia, chiesti 8 anni di reclusione; per l’ex Prefetto Francesca Cannizzo sono stati chiesti sei anni di reclusione; per Lorenzo Chiaramonte 2 anni e sei mesi di reclusione; per Aulo Gabriele Giganti assoluzione per non aver commesso il fatto.
Se oggi Silvana Saguto fosse condannata, sarebbe il secondo verdetto a suo sfavore nel giro di un mese. Il 16 ottobre scorso, infatti, il Tribunale di Palermo le ha inflitto una condanna a 13 mesi. Era accusata insieme al marito Lorenzo Caramma, al figlio Emanuele, che sono stati assolti, e al medico dell’ospedale Cervello di Palermo, Giuseppa Guzzetta (condannata a 1 anno di reclusione), a vario titolo, di falsità ideologica e truffa ai danni di un’assicurazione. Secondo l’accusa, l’ex magistrato aveva chiesto a due medici dei certificati falsi per il figlio. Un modo per ottenere un risarcimento veloce dall’assicurazione, dopo un incidente stradale.