Chiedono aiuto al governo, vogliono garanzie, invocano un confronto. Il popolo delle partite Iva non ce la fa più e scende in strada a Palermo. Erano poco più di un centinaio gli imprenditori che ieri, intorno alle 18, si sono riuniti in piazza Massimo per protestare dopo le restrizioni imposte dall’ultimo Dpcm di Palazzo Chigi.
Animi agitati ma atteggiamenti composti, stride la presenza di carabinieri e polizia municipale che del resto non possono mancare, specie in questo periodo in cui sono vietati gli assembramenti. Avevano tutti la mascherina i commercianti ma tra i volti nascosti la tensione emerge. Qualcuno alza la voce, niente cartelloni o striscioni, pare non abbiano voce. Qualcuno afferma di sentirsi “completamente lasciato solo”. Altri, la maggior parte, ripetono in loop che “non ha avuto senso spendere soldi per i lavori di adeguamento anti-Covid dopo la fine del lockdown per poi chiudere di nuovo o quasi”.
In realtà, il primo giorno di lockdown part-time della attività a Palermo non è stato
molto sentito, a prima vista, e nonostante la presenza di due moto dei carabinieri che percorrevano la via Maqueda in un senso e poi nell’altro, le forze dell’ordine pare abbiano applicato una certa tolleranza. Il bar proprio di fronte al Massimo era chiuso già alle 18. Altre attività di ristorazione non l’hanno seguito. Basta addentrarsi oltre la via Ugo Amico per constatarlo. Locali specializzati nella vendita di rosticceria, pizza al taglio, o di altri generi alimentari hanno continuato a vendere i loro prodotti limitandosi a non fare sedere nessuno all’interno. Chiedi in giro e capisci che si sta facendo confusione tra “asporto” e “consegna a domicilio”.
C’è chi ritiene di poter continuare a lavorare, c’è chi chiude, chi affigge cartelli con su scritto “dalle 18 facciamo solo domicilio“: il titolare rimane davanti alla soglia del locale con mascherina e faccia sconsolata. Eppure secondo l’ultimo decreto sembrava che le saracinesche dovessero chiudere del tutto. L’impressione è che che si stia facendo confusione tra norme nazionali e regionali ma sono le prime che dovrebbero prevalere in senso restrittivo.
Agli enti locali, infatti, è delegato il potere di disporre modifiche più stringenti ma non possono allargare le maglie dei Dpcm. Anche sull’uso della mascherina c’è tanta confusione: un agente della polizia di Stato sostiene che si debba indossare sempre, un carabiniere invece che vige l’obbligo di portarla sempre con sé e che, all’aperto, va usata solo quando non è possibile mantenere la distanza interpersonale. Ha ragione il sindaco Leoluca Orlando quando invoca chiarezzae un Testo Unico per non lasciare cittadini e imprenditori “in balia di norme poco chiare”.
In via Maqueda ci sono pure due agenti della polizia municipale che camminano guardando a destra e a sinistra. A sinistra un ragazzo di colore che vende tutto a un euro, a destra un minimarket con i clienti che entrano ed escono. Regna la confusione. Dei cartelli proposti da Confesercenti Siciliaper una protesta organizzata ed eterogenea nemmeno l’ombra. Il tempo di arrivare all’altezza di via Napoli, tornare indietro ed ecco che anche in piazza Massimo, della manifestazione, rimane giusto qualcuno che guarda l’orologio e saluta chi ancora ha la forza di rimanere. Sono le 19.
Finisce così il primo giorno di lockdown part-time a Palermo, con un suono che si diffonde nell’aria come il refrain di un tormentone estivo che intona sempre la stessa aulica parola che fino a poco tempo fa nessuno avrebbe mai pronunciato: “ristori“. “Speriamo che arrivino pesto“: il giovane papà ha approfittato della manifestazione per portare il figlio in centro, lo fa scendere dalla bici, lo prende per mano, saluta un amico alzando il mento e ripete il mantra “Speriamo che arrivino presto i ristori”.